Bologna-Juventus non è solo una sfida da zona Champions: è un crocevia esistenziale per due squadre che cercano conferme diverse, ma egualmente urgenti. Il pareggio finale – 1-1 il risultato – racconta di un equilibrio precario, frutto più di inerzia che di reale equilibrio di forze. Perché il Bologna – sebbene stanco, stirato, spremuto – ha ancora dentro qualcosa di vivo, una fiammella d’identità che nemmeno gli errori riescono a spegnere. La Juventus, invece, continua a oscillare tra il riflesso del proprio nome e un presente che non sa ancora chi è.
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Bologna-Juventus 1-1: i rossoblù ritrovano se stessi, i bianconeri solo un punto

L’uomo che tiene tutto in piedi, nel giorno in cui le gambe si fanno pesanti e le idee si annebbiano, è Remo Freuler. Il più insospettabile tra i marcatori, il meno atteso tra i protagonisti. Ma proprio per questo, il più vero. Il gol del pareggio lo firma lui, l’ex regista dell’Atalanta, oggi trasformatosi in qualcosa di più: un architrave mentale, un centro gravitazionale attorno al quale ruotano i rossoblù di Vincenzo Italiano. Non il Freuler scolastico, ma una versione più ariosa, più audace. Più necessaria.
Già nel primo tempo era stato proprio lui a guadagnare un possibile rigore: McKennie lo travolge, Doveri lo ignora. Eppure Freuler non arretra, non si arrabbia: resta lì aspettando il momento giusto. Quel momento che arriva nella ripresa, al minuto 54, al termine di un’azione spezzettata e con una deviazione decisiva di Veiga a condannare Di Gregorio. È il gol dell’1-1, ma è anche qualcosa di più: è il gol che restituisce senso a una serata che rischiava di deragliare nel nulla.
E dire che la Juve era partita con il solito copione: minimo sforzo, massimo rendimento. Al primo vero tiro in porta, un rasoterra nemmeno irresistibile di Thuram passa sotto le gambe di Skorupski, apparso in versione déjà vu dei suoi peggiori incubi. Un errore pesante, soprattutto in un momento così delicato della stagione. Ma se la Juventus ringrazia, non è per meriti propri: è che certe abitudini si tramandano, anche quando si cerca di cambiarle.
Igor Tudor, alla ormai sesta presenza sulla panchina bianconera, ha portato ordine, un briciolo di disciplina difensiva e la sensazione che si possa almeno evitare il tracollo. Ma chiedergli di fare miracoli sarebbe ingiusto. La Juve di oggi è una squadra in fase di transizione, un’idea a metà. C’è voglia di lottare, ma c’è anche paura di vincere davvero. Si fa fatica a gestire i vantaggi, si teme di concedere troppo, si gioca in apnea. Non si è mai davvero padroni del campo, mai davvero liberi nella testa.
Il Bologna, invece, sa bene cosa vuole. Anche se il motore arranca e le gambe pesano dopo cinquanta partite stagionali, c’è una lucidità collettiva che non si spegne. Italiano lo sa, e punta ancora una volta sull’affidabilità dei suoi veterani: De Silvestri regala una prova da sindaco della fascia destra, Lucumì è imperiale, e Beukema controlla ogni passaggio. Davanti, Cambiaghi incendia la corsia di sinistra, mentre Orsolini prova a riscrivere il suo destino con i soliti strappi e un destro velenoso.
La Juve, al netto del vantaggio iniziale, si limita a sopravvivere. Quando prova ad accelerare, trova solo l’opposizione feroce di una squadra che, pur stanca, non è disposta a mollare un centimetro. A tratti, sembra di vedere due squadre diverse: una consapevole e coerente, l’altra ancora in cerca della propria immagine riflessa. Anche nel finale, quando Cambiaghi e Ferguson sfiorano il gol della vittoria, l’impressione è che solo una delle due formazioni abbia la lucidità per provarci fino in fondo.
Alla fine, il pareggio è l’espressione più onesta di ciò che si è visto. Il Bologna tiene vivo il sogno europeo, la Juventus tiene a bada i suoi incubi. Ma le strade, pur incrociandosi, vanno in direzioni diverse. Perché questa Juventus non è ancora rinata e questo Bologna, invece, non vuole solo presenziare: vuole esserci con dignità, con coraggio, e – come Freuler insegna – con la forza silenziosa di chi non fa rumore, ma cambia il volto di una partita. Per il Dall’Ara è l’ennesima notte che vale come una dichiarazione d’intenti. Per la Juve, un’altra tappa lungo il sentiero irto di spine verso un’identità che ancora non si lascia afferrare. E forse, tra le pieghe di un pareggio, si nasconde proprio questa verità: una squadra si costruisce con il tempo, ma anche con il carattere. E oggi, quel carattere, lo si è visto di più in maglia rossoblù.
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