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analisi Facebook di Roberto Beccantini -
Quando arrivò all’Inter nell’estate del 1988, lo considerammo un «inserto» di Lothar Matthaeus, come se per avere il re fosse stato necessario prendergli anche il suo cavallo. E invece Andreas Brehme, scomparso oggi a 63 anni, era molto di più. Provenivano entrambi dal Bayern. Brehme era biondo, con un naso a uncino che gli dava un’aria da pirata mansueto, da tedesco rigoroso e orgoglioso.
"Andy" per gli amici
Terzino e mediano, ambidestro, nell’Inter di Giovanni Trapattoni, quella dello scudetto-record a 58 punti, terzino sinistro. Aldo Serena, che proprio in quella stagione si sarebbe laureato capocannoniere, racconta che, se lo diventò, molto fu per i suoi cross. Avevano un taglio «a banana», a mezzaluna, liftato, di complicata lettura per i difensori, e addirittura maniacale per i portieri. Erano forza e camicia di forza.
Il suo regno era la fascia mancina, anche se il passato da mediano non gli impediva di trovarsi a suo agio persino nello shopping al centro. Campione d’Italia con l’Inter e, con la Germania di Franz Beckenbauer, campione del Mondo nel 1990. A Roma, contro l’Argentina di Diego Armando Maradona. Una partita brutta, sporca e cattiva. Un rigore che il Var chissà come avrebbe vestito o spogliato. Uomo di sinistro, lo batté di destro. Scelse l’angolo, la precisione, a conferma di una maturità che coinvolgeva i nervi, non solo i piedi.
Il numero tre era il terzino fluidificante. Giacinto Facchetti, Antonio Cabrini, Paolo Maldini. Ognuno con il suo stile. Brehme scavallava da area ad area e poi, dalla tre-quarti, pennellava. Over the rainbow.
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