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Olimpiadi Esports e Arabia Saudita: opportunità, geopolitica e controversie

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Esports, il CIO annulla i Giochi Olimpici. Controversie, sportwashing e diritti umani: cosa c'è dietro a questa decisione?
Vincenzo Bellino
Vincenzo Bellino Redattore 

L’ingresso degli esport nell’arena olimpica segna un momento storico per il mondo del gaming competitivo. Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) aveva inizialmente pianificato di organizzare i primi Olympic Esports Games in Arabia Saudita tra il 2025 e il 2026, ma ha recentemente annullato l’accordo. Problematiche organizzative, necessità di tempi più lunghi per preparare l’evento tra le principali motivazioni, tuttavia il dibattito globale è andato oltre intrecciando ambizioni sportive, investimenti multimiliardari e questioni di diritti umani.

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L’Arabia Saudita, nuovo hub globale degli esports

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Negli ultimi anni, il regno saudita è diventato un attore centrale nel panorama competitivo dei videogiochi. Dopo aver ospitato l’Esports World Cup di Riyadh, caratterizzata da montepremi record, l’Arabia Saudita ha confermato le proprie ambizioni di leadership globale nel settore.

Il Paese ha investito massicciamente tramite il suo Fondo Pubblico di Investimento (PIF), finanziando tornei e squadre internazionali. Questo approccio rientra nella strategia di diversificazione economica che mira a ridurre la dipendenza dal petrolio, puntando su settori innovativi e redditizi come quello del gaming.

La fine dell’accordo con il CIO

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Nonostante le grandi aspettative, il CIO ha recentemente annullato l’accordo con l’Arabia Saudita per ospitare i primi Olympic Esports Games, originariamente previsti per il 2027 nella capitale Riyadh. La decisione, definita come reciproca, è stata motivata da questioni organizzative e dai tempi necessari per preparare un evento di tale portata.

Il Comitato Olimpico ha ribadito l’intenzione di continuare a sviluppare i propri giochi di esports, parallelamente ai Giochi olimpici tradizionali, mentre l’Arabia Saudita ha annunciato la nascita di una Esports Nations Cup, a partire dal 2026, dove i giocatori potranno competere sotto la bandiera nazionale.

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Opportunità economiche e investimenti multimiliardari

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Il coinvolgimento dell’Arabia Saudita negli esports si inserisce in una strategia più ampia di espansione nel settore videoludico. Oltre agli eventi dal vivo, il regno ha recentemente guidato un’offerta record per l’acquisizione di Electronic Arts, valutata 55 miliardi di dollari, con partecipazioni anche in Take Two, Capcom e Nintendo.

Questi investimenti consolidano il ruolo del Paese come protagonista del gaming globale, aprendo scenari economici senza precedenti, sia per lo sviluppo dei tornei sia per la crescita del settore competitivo a livello internazionale.

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Le controversie: sportswashing e diritti umani

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Il rapido ingresso dell’Arabia Saudita nello sport e negli esports ha sollevato critiche e dubbi etici. L’accusa principale è quella di sportswashing, ovvero l’uso di eventi sportivi di grande visibilità per migliorare l’immagine internazionale del Paese, oscurando la questione dei diritti umani e delle leggi anti-LGBT.

Questa dinamica ha alimentato un dibattito sul confine tra investimenti legittimi e strategie di soft power, ponendo in evidenza il delicato equilibrio tra interesse economico, prestigio internazionale e responsabilità sociale.

Un futuro ancora aperto

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Nonostante le tensioni e la fine dell’accordo con il CIO, il mondo degli esports continua a crescere in modo esponenziale, e l’Arabia Saudita rimane un attore chiave. Tra grandi montepremi, tornei internazionali e acquisizioni miliardarie, il Paese si posiziona come una forza globale nel gaming competitivo, aprendo scenari che intrecciano sport, economia e geopolitica.

Gli Olympic Esports Games, quando prenderanno forma, saranno un test cruciale per capire se i videogiochi competitivi riusciranno a entrare definitivamente nel mainstream olimpico, senza perdere di vista le implicazioni etiche e sociali legate ai Paesi ospitanti e agli investitori coinvolti.