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Botafogo-Corinthians, Fogão vs Timão: guida sentimentale ai soprannomi del calcio brasiliano

Silvia Cannas Simontacchi
Silvia Cannas Simontacchi
Il calcio brasiliano è anche una questione di soprannomi. In occasione della sfida tra Botafogo e Corinthians, andiamo alla scoperta delle storie che si nascondono dietro due tra i nomi più evocativi del panorama calcistico
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Tutto pronto per un’altra notte di calcio al Nilton Santos. Si arrotolano con cura le bandiere, si mettono le birre in fresco, ci si accorda con i vicini su chi, anche questa volta, metterà a disposizione la TV. Si aspetta Botafogo-Corinthians, Fogão contro Timão.

Il calcio in Brasile è una cosa seria, ma non nel senso “corporate” del termine. È seria come una questione di sangue, come un legame familiare. E ogni famiglia ha il suo modo di comunicare, il suo lessico, i suoi vezzeggiativi. Proprio come una grande famiglia allargata, il continente carioca è la patria dei soprannomi. In un paese dove tutti hanno nomi lunghi che parlano di storia e radici, servono nomignoli corti, rapidi come un fischio – per chiamarsi al volo, per correre via tra le stradine dei quartieri. Dai giocatori alle squadre, nessuno si salva: forse non tutti sanno chi fosse Edson Arantes do Nascimento, ma tutti conoscono Pelé. E se Manoel Francisco dos Santos era solo un ragazzino zoppo, tutto il mondo lo ha conosciuto come Garrincha.

Come succede a chi viene tanto amato, Botafogo e Corinthians non fanno eccezione.  Ma perché il club bianconero di Rio viene chiamato Fogão? E cosa c’entrano i galeoni portoghesi con il Timão?

Botafogo: il Fogão, la Stella Solitaria

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Il Botafogo Football Club vede la luce il 12 agosto 1904, da un’idea nata tra i banchi di scuola, durante una lezione di algebra che sembrava non finire mai. Un atto fondativo tanto improbabile quanto poetico. A suggerire il nome è Dona Chiquitota, la nonna di Flávio Ramos, uno dei fondatori, ispirandosi alla più antica società di canottaggio della città: il Club de Regatas Botafogo. È un incontro fortuito tra pallone e remo, che unisce invece di dividere. Come colori sociali vengono scelti il bianco e il nero: esattamente come la Juventus.

Quasi subito, nelle chiacchiere tra amici, Botafogo diventa Fogão – “grande fuoco” – un soprannome affettuoso, quasi naif, che rievoca da un lato l’artigliere João Pereira de Sousa, in servizio sui galeoni portoghesi, e dall’altro il quartiere da cui tutto è cominciato: Botafogo, affacciato sulla baia, tra mare e malinconia. Sulle maglie del Clube Alvinegro Carioca, proprio sopra il cuore, brilla una stella solitaria: l’Estrela Solitária, il pianeta Venere, il primo astro a comparire nel cielo. Un faro che guida i naviganti.

Il Fogão è, da sempre, una squadra per romantici. A Rio la concorrenza è spietata – Flamengo, Fluminense, Vasco da Gama – ma anche nei momenti più bui, la torcida non ha mai smesso di intonare “Ninguém cala esse nosso amor”. Il destino del Botafogo – nel bene e nel male – ha lo stesso passo irregolare del suo campione più grande. Non Pelé, sempre perfetto. Ma Garrincha: leggero, libero, tragicamente imperfetto e fragile. L’angelo zoppo che ha attraversato il cielo come una stella cadente. Nessuno incarna il Botafogo meglio di lui.

Corinthians: il Timão, il Moschettiere

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Se il Botafogo prende il suo nome da un artigliere portoghese, anche la storia del Corinthians è legata al legno dei galeoni. Il club paulista ha il mare nello stemma – disegnato in origine dal litografo Hermógenes Barbuy, fratello del giocatore Amilcar – e nell’anima, o meglio, nel soprannome: Timão, il timone. Ancora, remi, vele, timone. I bianconeri di San Paolo sono nati per navigare. E quel timone, da tenere saldo mentre si affrontano le tempeste, è diventato più di un simbolo: è un modo di essere, un augurio, una promessa.

Fondato nel 1910 da un gruppo di operai decisi a rendere il calcio uno sport di tutti, il Corinthians fu la prima squadra popolare della città. Il nome si ispira alla Corinthian Football Club, la squadra britannica che nella tournée tra Rio e San Paolo era riuscita a vincere sei incontri su sei, lasciandosi dietro il sogno che il calcio potesse essere spettacolo, passione e unione. I colori iniziali erano il nero dei pantaloncini e il crema delle maglie – che, lavaggio dopo lavaggio, sbiadirono fino a diventare bianche. Così nacque il bianconero corinthiano.

Ma gli ideali che avevano dato origine al club non sono mai svaniti. Anzi, negli Anni Ottanta hanno addirittura preso forma nella celebre Democrazia Corinthiana: un periodo irripetibile, in cui i giocatori – guidati da Sócrates, Wladimir e Casagrande – trasformarono lo spogliatoio in un esperimento politico. Si votava su tutto, dalla formazione alle strategie di gioco. Allenatore e calciatori condividevano le decisioni, e la maglia diventava così anche un mezzo di espressione politica. Era folle, ma funzionava: nel 1982 e nel 1983 il Corinthians vinse il Campionato Paulista. Mentre il Paese lottava contro la dittatura, nel calcio avveniva una rivoluzione in miniatura. Non è un caso se il presidente Lula è un tifoso proprio del Timão.

Lo spirito degli Alvinegros Paulistas è sempre stato quello dei moschettieri: “Tutti per uno, uno per tutti”. Non a caso, la mascotte ufficiale del Corinthians è un moschettiere, simbolo di coraggio e lealtà. Una scelta che risale ai primi anni del club: nel 1913, quando le principali squadre di San Paolo fondarono una nuova lega (l'APEA, Associazione paulista degli sport atletici), solo tre squadre erano rimaste nella vecchia Liga: l'Americano, il Germânia e l'Internacional. A questi "tre moschettieri" del calcio paulista, si unì D’Artagnan: il Corinthians, il quarto spadaccino ma anche il leader.

Insomma, se il Botafogo si porta dietro l’eco di una malinconia romantica e solitaria, il Corinthians solca le onde come una nave pirata, dove ogni membro dell’equipaggio conosce il proprio posto. E sa che, per non affondare, serve l’aiuto di tutti.