Una squadra abituata alle luci della Champions League, costretta ora a lottare per la sopravvivenza. Lo Shakhtar Donetsk, simbolo calcistico dell’Ucraina orientale, vive da oltre dieci anni in esilio, lontano dal proprio stadio e dalla propria città. Dalla guerra nel Donbass del 2014 fino all’invasione russa del 2022, il club ha dovuto reinventarsi, mantenendo viva la propria identità sportiva in un contesto di instabilità economica e bombardamenti continui. Nonostante tutto, ha conquistato due titoli nazionali e continua a inseguire la scena europea, tra sacrifici, protocolli di sicurezza e un ruolo sociale che va ben oltre il calcio.
Il calcio ucraino e la guerra
Come la guerra e l’instabilità economica hanno cambiato il volto dello Shakhtar Donetsk

Shakhtar Donetsk, un club senza casa
—La storia recente dello Shakhtar è quella di una squadra che da anni non conosce il calore del proprio pubblico. Dopo l’abbandono della Donbass Arena, lo stadio che portava il nome della regione e che era diventato un simbolo della rinascita sportiva di Donetsk, il club ha dovuto spostarsi a Leopoli, poi a Kharkiv e infine a Kiev, dove oggi gioca e dove ha trasferito anche la sede societaria.

Ogni spostamento ha significato ricominciare da zero: adattarsi a nuovi campi, a tifosi che non sempre si sentivano parte della stessa storia, a una quotidianità logistica stravolta. Nel 2022, quando l’invasione russa ha interrotto il campionato, in panchina sedeva Roberto De Zerbi, oggi al Marsiglia. Fu una stagione drammatica, che non vide mai la fine, anzi da lì in poi il calcio ucraino fu ostretto a fare i conti con la guerra aperta.
Il calcio ucraino e la guerra
—Oggi la Prem”jer-liha si gioca sotto l’ombra costante delle sirene antiaeree. Gli stadi sono stati dotati di bunker e ogni partita è vincolata a protocolli di sicurezza rigidissimi. Non è raro che una gara venga interrotta e sospesa per il tempo necessario a garantire l’incolumità di giocatori, arbitri e spettatori, come accaduto lo scorso dicembre nella sfida tra Dinamo Kiev e Oleksandriya. Per le competizioni europee, invece, le squadre ucraine sono costrette a giocare all’estero. Continuare a scendere in campo non è solo una questione sportiva: è un atto di resistenza, un segnale al Paese e al mondo che l’Ucraina resta viva e determinata.
Economia al collasso
—La guerra non ha solo allontanato lo Shakhtar dalla sua città, ma ha anche ridotto al minimo le fonti di sostentamento economico del calcio ucraino. Come ha spiegato il direttore generale Serhii Palkin, le entrate da sponsorizzazioni, diritti televisivi e biglietti sono oggi irrisorie. Il sistema sopravvive quasi esclusivamente grazie ai proprietari che investono di tasca propria. Nel caso dello Shakhtar, il salvataggio porta il nome di Rinat Akhmetov, oligarca ucraino di etnia tatara del Volga e musulmano sunnita, che dal 1996 guida il club e lo ha portato a vincere 39 trofei, tra cui la Coppa UEFA del 2009. Gli investimenti non si sono fermati neanche ora: a gennaio è arrivato dal Fluminense il giovane brasiliano Kauã Elias, pagato 14 milioni di sterline, il terzo acquisto più costoso nella storia della squadra. Ma per tornare a un modello sostenibile e competitivo come prima del conflitto, ammette Palkin, serviranno molti anni.
In campo per la propria gente
—Per i giocatori dello Shakhtar, la guerra non è un’ombra lontana ma una realtà quotidiana. Il capitano Mykola Matviyenko ha perso amici e parenti, e sa che molti tifosi combattono al fronte. Per loro, seguire le partite e fare il tifo diventa una piccola evasione dalla paura. Accanto ai veterani ci sono anche calciatori stranieri che hanno scelto di restare o arrivare nonostante tutto. Il brasiliano Vinícius Tobías, dopo un prestito al Real Madrid Castilla, è tornato convinto che lo Shakhtar resti una grande opportunità per la sua carriera. Stessa determinazione per il boliviano Diego Arroyo, che ha definito il trasferimento a Donetsk “un’occasione unica”, spiegando come la società riesca a garantire sicurezza e un minimo di normalità anche in un contesto tanto difficile.

La funzione sociale del pallone
—Il calcio in Ucraina, oggi, è molto più di uno sport. È un collante sociale, un segno di continuità, un modo per non cedere al silenzio e alla rassegnazione. Le partite offrono alla popolazione un momento di respiro in mezzo alla tensione quotidiana, un frammento di normalità tra le sirene e i bombardamenti. La federazione, guidata da Andrij Shevchenko, ha lanciato progetti per il calcio per amputati e iniziative in cui lo sport diventa terapia per i soldati che affrontano lo stress post-traumatico del conflitto. Anche in questo, lo Shakhtar si è fatto simbolo: resiste, gioca, partecipa, e così facendo ricorda che il Paese non si arrende.
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