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Ieri 28 dicembre 2025, la Federazione calcistica catalana ha deciso di partecipare alle tradizionali burle del Giorno dei Santi Innocenti. Sui suoi canali social è comparso un comunicato in cui annunciava la nascita della “Copa dels Països Catalans”, una competizione che avrebbe dovuto riunire squadre provenienti da Catalogna, Valencia, Baleari, Andorra, Catalogna del Nord e persino Alghero.
Il messaggio, redatto con toni ufficiali, parlava di una “competizione internazionale di alto livello” con una final four e una sede a rotazione. In poche ore, la notizia si è diffusa a macchia d’olio. Migliaia di tifosi l’hanno accolta con entusiasmo, interpretandola come un passo concreto verso un riconoscimento sportivo dell’identità catalana. L’orgoglio e la speranza hanno infiammato i social, ma l’euforia è durata poco.
Dopo quattro ore di silenzio, la Federazione Catalana ha pubblicato un secondo post: era tutto uno scherzo. Il messaggio, accompagnato da un’emoji sorridente, ha scatenato una tempesta di indignazione. Gli utenti che avevano creduto alla notizia si sono sentiti traditi e presi in giro. “Ci stanno pisciando in faccia e ci dicono che sta piovendo”, ha scritto un tifoso furioso. Un altro ha accusato la Federazione di “trasformare l’identità catalana in una barzelletta”.
In pochi minuti, l’FCF è passata dall’essere applaudita per l’iniziativa a diventare il bersaglio di una valanga di critiche. La sensazione di scherno verso un simbolo di appartenenza ha toccato corde profonde in un contesto politico già sensibile.
La polemica ha riportato alla luce un tema più ampio: il declino del fervore indipendentista nello sport catalano. Non molti anni fa, la nazionale catalana riempiva gli stadi. Nel 2002, quasi 97.000 spettatori assistettero a Catalogna-Brasile al Camp Nou. Due anni dopo, contro l’Argentina, furono oltre 65.000.
Il momento più intenso arrivò nel 2015, con la sfida simbolica tra Catalogna e Paesi Baschi. Cinquantamila persone, bandiere indipendentiste ovunque e i presidenti Artur Mas e Iñigo Urkullu insieme in tribuna. Quella partita rappresentò il culmine di un’epoca di orgoglio collettivo. Nel mese di novembre, l'ultima apparizione ufficiale, in un'amichevole contro la nazionale palestinese.
Oggi, invece, è bastato una messaggio sui social a far riemergere frustrazione e nostalgia. Lo scherzo della “Coppa dei Paesi Catalani” ha messo a nudo una ferita ancora aperta: quella di un movimento che si sente dimenticato anche dai propri simboli sportivi.
Lo scherzo ha dimostrato quanto lo sport resti un terreno sensibile per la politica catalana. Ciò che doveva essere una burla si è trasformato in un boomerang comunicativo. La Federazione, forse inconsapevolmente, ha riacceso un dibattito identitario che sembrava sopito. In Catalogna, anche uno scherzo può diventare un atto politico. E questa volta, il calcio ha ricordato che certe passioni – e certe ferite – non si possono prendere alla leggera.
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