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“È troppo scarso per giocare nel Real Madrid. Gli darò una bella lezione”.
San Paolo del Brasile, 7 gennaio 2000. Mondiale per Club FIFA 2000. In una calda serata d’estate, va in scena Real Madrid-Corinthians. Sul prato del Morumbi, Christian Karembeu è schierato a centrocampo con la maglia blanca e, mentre aspetta il fischio d’inizio, quella frase gli torna in mente. A pronunciarla, qualche mese prima, è stato uno degli avversari che ora ha di fronte. Forse Karambeu non l’ha digerita del tutto e forse questa sera è l’occasione giusta per pareggiare i conti. Ma questo non è un articolo su di lui.
Nell’altra metà campo, con la maglia del Timão, c’è chi quella frase l’ha detta. E se la ricorda benissimo. Il suo nome è Edilson da Silva Ferreira ma tutti lo conoscono come Capetinha – il Piccolo Diavolo.
Nato il 17 settembre 1970 a Salvador de Bahia, Edílson era un ragazzino minuto, scuro, sempre sorridente. Madre Natura gli aveva donato due cose fondamentali per sfondare nel calcio brasiliano: piedi buoni e lingua tagliente. E se, negli anni, il talento non lo ha mai tradito, la battuta pronta ancora meno.
La sua carriera da professionista inizia nel 1990, con l’Industrial di Rio de Janeiro. Nei due anni successivi passa al Tanabi e poi al Guarani, dove le sue accelerazioni e il controllo palla da calcetto iniziano a suggerire la presenza di un certo X Factor. Nel 1993 arriva la chiamata del Palmeiras, una corazzata allestita dalla Parmalat e guidata da mister Vanderlei Luxemburgo. È un colpo di fulmine: con la maglia Alviverde vince due Campionati Paulisti (1993 e 1994), il Brasileirão 1993 e il Torneo Rio-San Paolo.
Tanti successi iniziano a farsi notare anche oltreoceano. Ma l’Europa, per il Capetinha è solo una parentesi: al Benfica non si ambienta, e dopo un’altra stagione al Palmeiras nel 1995 riparte, questa volta per il Giappone, al Kashiwa Reysol. Eppure, nessun posto è come casa. Nel 1997 rientra in Brasile, stavolta indossando la maglia del Corinthians: l’acerrimo rivale della squadra a cui doveva tutto.
Con il Timão, Edílson vive il suo vero prime time. Tra il 1997 e il 2000, in maglia Alvinegra, vince due Brasileirão (1998 e 1999), il Paulistão 1999 e, nel 2000, alza anche la storica Coppa del Mondo per Club FIFA.
Ma quella sera contro il Real Madrid, sembra importargli di più zittire Lorenzo Sanz, il presidente dei blancos che aveva dichiarato di non sapere nemmeno chi fosse, e dare finalmente quella famosa lezione a Karembeu. Promessa mantenuta: Edílson segna una strepitosa doppietta, dopo aver umiliato il centrocampista francese con un dribbling secco. A fine partita, il commento di Luciano do Valle lo consacra agli occhi del mondo: “Piacere, sono Edílson, il Diavolo”.
Un altro episodio rende bene l’idea del personaggio. 20 giugno 1999, finalissima del Paulistão, ancora contro il suo ex Palmeiras. Il Timão è in vantaggio, la partita è praticamente chiusa. Edílson decide che è il momento di divertirsi: si mette a palleggiare da fermo davanti agli avversari, con la spavalderia di un bambino in cortile. Davanti a tanta insolenza, scoppia una rissa gigantesca, volano calci, pugni, espulsioni. Piovono polemiche che dureranno giorni. Ma quella bravata lo consacra definitivamente come il Capetinha – piccolo diavolo di nome e di fatto.
Dopo l’eliminazione in Libertadores 2000, ancora contro il Verdão, Edílson lascia il Corinthians e passa al Flamengo, dove conquista il Campionato Carioca e la Coppa dei Campioni. Segue un breve passaggio al Cruzeiro, e nel 2002 arriva la convocazione di Luiz Felipe Scolari per i Mondiali in Corea-Giappone. Gioca solo quattro partite, ma lascia comunque il segno con un gol contro la Costa Rica. Il suo non sarà tra i primi nomi che vengono in mente quando si parla di quella squadra di fenomeni, ma è pur sempre (e meritatamente) campione del mondo come gli altri.
Eppure, il Capetinha aveva ancora qualche freccia nel suo arco. Nel 2005, in occasione di una sfida São Caetano e Corinthians, scommette con i compagni una cena se riuscirà a rifilare un tunnel al giovane Javier Mascherano. Detto, fatto: non una, ma ben due volte. Mascherano lo rincorre per tutto il campo, ma non riesce a fermarlo. Il Capetinha ride, vince la partita e anche la cena.
Negli anni successivi il ritmo rallenta: veste le maglie di Vasco da Gama, Nagoya Grampus, Vitória e infine Bahia, cambiandosele spesso. Nel 2010 si ritira. Ma Edílson non si rassegna mai del tutto: nel 2015, a 45 anni, tenta un improbabile ritorno con il Taboão da Serra in quarta divisione paulista. Gioca una sola partita. Ma, come sempre, fa tanto rumore.
Edílson da Silva Ferreira, in arte Capetinha, è sicuramente uno di quei personaggi che oggi potremmo definire “divisivi”. Dopo il ritiro, ha pensato bene di sfruttare l’altro suo grande talento – la dialettica – per farsi strada nel mondo della TV, come opinionista sportivo. Nel frattempo, la sua vita privata continua a far discutere: nel suo curriculum, spiccano tre arresti per non aver pagato gli alimenti ai figli e una partecipazione al talent show Dança dos Famosos, (il nostro Ballando con le Stelle), dove ha dimostrato di essere ancora simpatico e sfacciato come a 20 anni.
Odiato dai rivali, idolo dei tifosi del Corinthians, Edílson è stato – ed è ancora – tutto ciò che il calcio brasiliano sa essere: spettacolo, eccesso, narrazione. Un villain, forse. Ma uno di quelli che in fondo ci piacciono. Del resto, non poteva farsi chiamare Diavolo per niente.
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