derbyderbyderby calcio italiano ESCLUSIVA – Di Michele: “Zaniolo a Udine è rinato. Runjaic mi ha stupito, ma a Firenze sarà dura”

INTERVISTA

ESCLUSIVA – Di Michele: “Zaniolo a Udine è rinato. Runjaic mi ha stupito, ma a Firenze sarà dura”

Di Michele
Un attaccante da grandi palcoscenici costretto a dimostrare le sue qualità in piazze più bollenti del panorama italiano: dal contratto firmato con la Roma alla Nazionale, ecco il racconto di Di Michele
Federico Grimaldi
Federico Grimaldi

Nel calcio che cambia pelle e ritmo, restano voci capaci di raccontarlo con la profondità di chi lo ha vissuto fino in fondo. David Di Michele è una di queste. Attaccante di talento e intelligenza calcistica, ha attraversato la Serie A lasciando il segno con maglie storiche come Udinese, Torino, Palermo e Lecce, interpretando il ruolo con qualità, sacrificio e visione. Proprio con l’Udinese ha vissuto uno dei momenti più alti della sua carriera, contribuendo a uno storico percorso culminato con la qualificazione alla Champions League, traguardo che racconta meglio di ogni numero il valore di quella squadra e di quell’epoca.

Uomo da campo prima ancora che da statistiche, Di Michele ha giocato in un calcio popolato da top player, imparando a misurarsi con l’eccellenza e a leggere le sfumature del gioco. Oggi, con lo sguardo lucido di chi conosce le dinamiche dello spogliatoio e l’evoluzione di un pallone sempre più fisico e globale, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di DDD per analizzare il presente del calcio italiano. Dall’Udinese di oggi alla scelta di Zaniolo, passando per le ambizioni del Torino, il sorprendente Lecce e le idee di Eusebio Di Francesco, il racconto di Di Michele è un viaggio tra memoria, competenza e passione.

Di Michele: "Runjaic una sorpresa. Contro la Fiorentina sarà tosta..."

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Il calcio di oggi è molto diverso rispetto a quello che ha vissuto da protagonista. In che modo vede questa evoluzione e come si riflette nelle squadre attuali, in particolare nell’Udinese?

"Il calcio si è evoluto tantissimo. Oggi è uno sport molto più fisico rispetto al passato, mentre la tecnica ha perso un po’ di centralità. Le società fanno scelte diverse, puntano su atleti strutturati e intensi. L’Udinese è un esempio chiaro di questo cambiamento: rispetto agli anni passati ha meno qualità tecnica, ma è una squadra molto fisica, organizzata e coerente con il calcio moderno. Ha fatto scelte precise e le sta portando avanti".

La vittoria contro il Napoli ha sorpreso molti. Se l’aspettava oppure è stato un risultato inatteso?

"Onestamente non me l’aspettavo. Il Napoli veniva da un periodo positivo e stava bene, quindi un pareggio sarebbe stato un risultato più logico. Però l’Udinese ha saputo sfruttare la partita nel modo giusto, dimostrando solidità e spirito. Sono quelle gare in cui, se lavori bene durante la settimana, puoi toglierti grandi soddisfazioni".

Molto del merito viene attribuito a Runjaic. Che giudizio dà sul suo lavoro e sulla gestione di uno spogliatoio così internazionale?

"Runjaic sta lavorando molto bene e gli va riconosciuto. L’anno scorso in tanti lo consideravano non adatto, invece sta dimostrando il contrario. Allenare tanti stranieri non è mai semplice, servono equilibrio, comunicazione e credibilità. Lui è capace, ha idee chiare e sta facendo un ottimo lavoro. Per questo vanno fatti i complimenti".

In questo contesto si inserisce anche la scelta di Zaniolo di andare a Udine. Secondo lei è stata la decisione giusta?

"Sì, è stata una scelta giusta. Udine è una piazza dove puoi lavorare con serenità, senza pressioni eccessive. Zaniolo ha vissuto tante disavventure e momenti complicati, oggi però sta capendo qual è il suo vero valore. È un giocatore importante, di grandissima qualità, e in un ambiente del genere può ritrovarsi e crescere".

Guardando alla Fiorentina, che tipo di partita si aspetta contro l'Udinese e quali sono le difficoltà principali che vede nella squadra viola?

"A Firenze sarà una partita difficile, ma la Fiorentina è praticamente obbligata a vincere. Il contesto non è semplice: il tifo sarà vicino alla squadra, ma se vede che non riesce a esprimersi come vorrebbe può anche diventare critico. Il problema principale è che non ci sono molti giocatori capaci di uscire da certe situazioni di difficoltà".

Ha parlato di anno di transizione per la Fiorentina. Cosa significa concretamente per i giocatori?

"Significa capire che bisogna portare la nave in porto nel minor tempo possibile. Devono scavare il barile, essere più cinici e soprattutto compatti. Non esiste più l’“io”, esiste solo il “noi”. Devono mettersi tutti a disposizione perché saranno sei mesi di fuoco".

"Il Torino ed i tifosi meritano palcoscenici più importanti"

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Il Torino è una piazza che conosce bene. Che momento sta vivendo il club granata e cosa serve per fare il salto di qualità?

"Il Torino è una piazza importantissima. Io sono onorato di aver indossato la maglia del Grande Torino, la squadra più forte che ci fosse in Italia. Merita palcoscenici più importanti di quelli attuali. Servono investimenti importanti e un progetto vero, come hanno fatto Bologna e Atalanta. Se loro ce l’hanno fatta, non vedo perché il Toro non possa farlo".

Quanto pesa il recupero di Zapata nell’economia della squadra?

"Zapata è un giocatore fondamentale. Prima dell’infortunio ha fatto grandissime cose e il suo valore non si discute. Tornare dopo una lunga degenza non è mai facile, ma Baroni può contare su un parco attaccanti di livello, sono giocatori da Champions".

Proprio Baroni è uno degli allenatori che lei stima molto. Perché?

"A me piace molto Baroni. L’anno scorso ha fatto un grande campionato con la Lazio, ma non è stato valorizzato come meritava. È un allenatore che vive di emozioni e sta facendo bene anche al Torino. Meritava una conferma, ma il Toro resta comunque una piazza importante. È un allenatore sottovalutato".

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Di Michele: "Di Francesco è sottovalutato. Negli anni, ha migliorato le sue idee"

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Un altro tecnico con cui è rimasto legato è Di Francesco. Lo ha allenato nel suo periodo a Lecce e, dopo più di 10 anni, è tornato in Salento. Cosa apprezza del suo lavoro?

"Di Francesco mi è sempre piaciuto. Ha sempre avuto grandi idee e oggi le ha migliorate, rendendole ancora più evidenti. Dopo l’esperienza alla Roma ha avuto una piccola flessione, forse avrebbe meritato di più, ma ovunque è andato ha fatto bene, anche quando il supporto della società è mancato, come a Venezia".

A Lecce sta lavorando bene e l'obiettivo salvezza sembra essere più vicino. Se lo aspettava?

"Il Lecce sta facendo qualcosa di impensabile. Hanno perso giocatori importanti e li hanno sostituiti con profili non sempre adatti alla salvezza. Nemmeno Corvino si aspettava certe difficoltà iniziali. Oggi però il Lecce è più squadra di prima".

Lei ha giocato nel Lecce di Chevanton, Muriel e Cuadrado. Quanto era diverso quel calcio?

"Era un Lecce più forte, ma anche un calcio diverso, con valori e qualità differenti. Eravamo una squadra con tanta qualità offensiva, oggi il contesto è cambiato completamente".

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"Sono stato vicino ad Inter e Roma, ma nel momento clou, mi hanno tarpato le ali"

Nel suo percorso c’è stato più volte il sentore di poter arrivare in un grande club. Che cosa è successo davvero e quanto pesa oggi quel rimpianto?

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"È il rimpianto più grande della mia carriera. Non tanto per quello che è stato, ma per non aver avuto la possibilità di capire fino in fondo se potessi stare stabilmente in un grande club. Con la Roma ci sono stato vicino più volte. La prima quando ero all’Udinese: c’era una discussione in corso tra l’Udinese e Spalletti e la società decise di non mandare nessun giocatore alla Roma. Io ero pronto, ma non se ne fece nulla. La seconda volta è stata nel 2007, ed è quella che mi pesa di più.

Con la Roma era praticamente tutto fatto, c’era già il contratto pronto. Poi Cairo decise di non cedermi perché non voleva rinforzare una diretta concorrente per la vecchia Coppa UEFA. In quel momento mi sono sentito tarpato nelle ali. Quando ero vicino al salto, qualcosa è sempre successo. Sono stato vicino anche all’Inter per tre volte, ma il discorso è simile: occasioni che non si sono mai trasformate in una vera possibilità. Il rammarico non è non esserci andato, ma non aver potuto giocarmi davvero le mie carte. Mi hanno tarpato le ali"

Oggi il suo futuro sembra legato alla panchina. Si sente pronto per diventare allenatore?

"Sì, mi sento pronto. Sto cercando ancora la mia dimensione, ma voglio entrare nel vivo del calcio, magari all’interno di uno staff importante. Oggi fare l’allenatore è molto più difficile che fare il giocatore: devi essere responsabile, capire gli equilibri della squadra e delle persone. Mi ispiro a Spalletti, ma c’è da imparare da tutti. Mi sarebbe piaciuto essere allenato anche da Allegri e Conte, perché ti tirano fuori tutto il potenziale".