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Le etimologie nel calcio

Lecce, da Camarda a Falcone: l’etimologia dei cognomi della Serie A

Stefano Sorce
Stefano Sorce
In questo speciale abbiamo messo da parte moduli, statistiche e percentuali di possesso palla per fare un viaggio inedito nel cuore della rosa dei giocatori giallorossi
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Dietro ogni maglia del Lecce non c’è solo un numero: c’è una storia. Basta leggere i cognomi della rosa giallorossa per rendersi conto che questa squadra è molto più di un gruppo di calciatori: è un viaggio tra continenti, popoli e secoli diversi. Dal falco simbolo di vigilanza di Falcone, ai clan africani di Coulibaly e Ndaba, la “vittoria luminosa” di Siebert e i frutteti bavaresi di Fruchtl.

Ogni cognome nasconde mestieri antichi, tradizioni tribali, storie di migrazioni e spiritualità che arrivano da molto prima del pallone. Nomi che raccontano chi erano le famiglie di questi giocatori prima ancora che loro diventassero calciatori. In questo articolo abbiamo deciso di fare una cosa diversa: non analizzare schemi o statistiche, ma scavare nelle radici dei nomi della rosa del Lecce per scoprire cosa significano davvero. Perché a volte, per capire chi scende in campo, basta iniziare da ciò che porta scritto sulle spalle.

Lecce: dal frutto bavarese ai Re Magi: storie dietro i cognomi di Fruchtl, Ndaba e Gaspar

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Christian Früchtl, secondo portiere del Lecce, nato a Bischofsmais il 28 gennaio 2000, porta con sé un cognome che racconta una storia profondamente legata alla sua terra, la Baviera. Il suo nome di famiglia ha infatti origini tedesche e deriva dal termine Frucht, che in tedesco significa “frutto”. Da questa radice nasce “Früchtl”, un cognome che in passato veniva attribuito come soprannome o come identificativo legato a un mestiere: poteva indicare chi lavorava con la frutta, chi possedeva frutteti o chi commerciava prodotti agricoli.

Corrie Ndaba, nato a Dublino il 25 dicembre 1999, porta un cognome che attraversa il mare e arriva dall’Africa australe, dove le lingue bantu-Nguni danno forma alle parole e alle identità. “Ndaba”, nella cultura zulu e xhosa, non è solo un nome: significa “questione importante”, “notizia”, “consiglio”, persino “assemblea”. È un termine che, nelle comunità tradizionali, indica il luogo dove si discute ciò che conta davvero, dove si prendono decisioni, dove la voce diventa responsabilità.

Kialonda Gaspar, nato a Dundo il 27 settembre 1997, porta come cognome una parola che attraversa secoli di storia religiosa e linguistica. “Gaspar” non nasce come cognome, ma come nome proprio, uno dei più antichi della tradizione cristiana: è la variante di Caspar, Jasper o Gaspard, ed è legato alla figura di uno dei Re Magi che, secondo il racconto evangelico, portarono doni al Bambino Gesù. L’origine più accreditata di questo nome è mediorientale: si ritiene che derivi dal persiano Gathaspar o Kansbar, con il significato di “tesoriere”, “colui che custodisce il tesoro”. Per questo, nel corso dei secoli, è diventato simbolo di ricchezza spirituale, saggezza, dono prezioso. Il fatto che questo cognome sia oggi parte del nome di un calciatore angolano racconta un tratto della storia del Paese: l’eredità culturale lasciata dal cristianesimo e dal mondo lusitano durante l’epoca coloniale.

Tra luce, case e volti mediterranei: i nomi di Siebert, Sala e Morente

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Jamil Siebert, nato a Dusseldorf il 2 aprile 2002, porta un cognome che nasce nei secoli in cui i nomi raccontavano virtù e presagi. “Siebert” deriva da un antico nome germanico, Sigiberht, formato da due parole che evocano forza e luce: sigi, “vittoria”, e berht, “brillante”, “illustre”. È un cognome che, già nel suo significato originario, unisce il trionfo alla fama, come se suggerisse un destino legato al successo che risplende. Oggi quel nome non è più un augurio ma una traccia di identità familiare, diffusa soprattutto in Germania, terra in cui il suono duro e netto dei cognomi porta ancora l’eco dei popoli germanici antichi. Siebert, nel tempo, è diventato un simbolo di “vittoria luminosa”, una gloria da conquistare e rendere visibile agli altri.

Alex Sala, nato a Barcellona il 9 aprile 2001, porta un cognome che in Spagna profuma di luoghi comuni condivisi, di spazi dove la vita si svolge e si incontra. “Sala” è un termine che, nelle lingue romanze, indica semplicemente una stanza, un salone, un ambiente interno: uno spazio abitato. Come cognome nasce proprio così, come identificazione legata a una casa particolare, a un edificio grande, a un luogo destinato a riunirsi. In epoca medievale, chi portava questo cognome spesso viveva o lavorava vicino a sale pubbliche, residenze importanti, luoghi dove si tenevano assemblee, banchetti, riunioni comunitarie. In Catalogna, dove il nome è diffuso ancora oggi, “Sala” può rimandare a famiglie legate ad antiche case patrimoniali, quelle che fungevano da riferimento sociale o amministrativo in un territorio.

Tete Morente, esterno offensivo del Lecce, nato a La Línea de la Concepción il 4 dicembre 1996, porta un cognome che sa di Spagna antica, di paesi che resistono nel tempo e di persone riconoscibili a colpo d’occhio. “Morente” è un nome che, secondo la tradizione genealogica, nasce in due modi diversi: può indicare un legame con un luogo, oppure può descrivere una caratteristica fisica. Da un lato, infatti, rimanda a un piccolo nucleo abitato dell’Andalusia, nella provincia di Cordoba, come un cognome che identifica chi proveniva da quelle terre. Dall’altro, porta con sé l’eco del termine moreno, che significa “dalla pelle o dai capelli scuri”, un soprannome medievale dedicato a chi aveva un aspetto marcato, mediterraneo, forse con tracce arabe nella memoria del volto.

Lecce: tra nobiltà d’animo, discendenze e clan: i nomi di Rafia, Stulic e Berisha

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Hamza Rafia, nato a Kalaat Senan il 2 aprile 1999, porta un cognome che affonda le radici nella lingua e nella cultura araba, dove i nomi non sono mai semplici suoni ma veri contenitori di significati. “Rafia” deriva dalla radice araba r-f-, che esprime l’idea di “alzare”, “innalzare”, “elevare”. Da questa stessa famiglia di parole nasce l’aggettivo rafīʿ (رفيع), che significa “elevato, nobile, sublime, raffinato”, termine usato tanto per indicare una posizione alta quanto una statura morale o sociale.

Nikola Stulić, centravanti del Lecce, nato a Sremska Mitrovica l’8 settembre 2001, porta un cognome che affonda le sue radici nella tradizione onomastica dell’Europa balcanica, dove i nomi di famiglia nascono spesso da soprannomi, mestieri o tratti caratteriali tramandati di generazione in generazione. “Stulić” è formato dalla base Štul- unita al suffisso slavo -ić, che significa “figlio di” o “discendente di”. Questo elemento è tipicissimo dei cognomi serbi e croati ed è usato per indicare l’appartenenza a una famiglia o a un capostipite. La radice Štul è probabilmente un soprannome antico, legato al termine popolare štul / štula, associato a qualcosa di allungato, rigido, sottile, oppure a una persona “stolta, schiva o riservata”, come spesso accadeva nei nomignoli che servivano a distinguere un individuo in piccoli villaggi. Con il tempo quel soprannome è diventato nome di famiglia, stabilizzandosi nella forma “Stulić”, ovvero “figlio (o discendente) di Štul”.

Medon Berisha, talentino del Lecce, nato a Munsingen il 21 ottobre 2003, porta un cognome che affonda le radici nella storia antica dell’Albania e nei sistemi di appartenenza tribale tipici dei Balcani. “Berisha” non è infatti un semplice cognome, ma il nome di uno dei più importanti e numerosi clan (fis) della tradizione albanese, originario della regione montuosa del nord del Paese, tra le aree di Tropojë e Dukagjin. Il nome “Berisha” diventa cognome proprio per indicare l’appartenenza familiare a questo grande lignaggio, un segno di legame con una comunità forte, fondata sul vincolo di sangue, sull’onore e sulla solidarietà tra membri dello stesso clan. Etimologicamente, il termine è collegato al nome medievale “Ber” o “Bera”, antico antropònimo albanese, associato a concetti di forza e resistenza; alcune interpretazioni popolari vi leggono anche un riferimento all’idea di “montana”, “gente delle alture”, coerente con l’origine geografica del clan.

Tra stirpi africane, figli del sacro e pianure fertili: i nomi di N’Dri, Helgason e Veiga

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Konan N’Dri, nato il 27 ottobre 2000, porta un cognome che affonda le sue radici nell’Africa occidentale, in particolare nelle culture della Costa d’Avorio, dove la struttura dei nomi segue tradizioni molto diverse da quelle europee e ogni parola racchiude un valore identitario forte. “N’Dri” deriva dal termine akan Ndrɛ o Ndri, che può essere collegato a concetti di forza, stabilità e resistenza, ed è spesso usato come nome di famiglia o come nome cerimoniale per identificare un lignaggio o un capostipite. Storicamente, “N’Dri” era utilizzato per indicare appartenenza familiare o discendenza da un antenato noto: una sorta di marchio di stirpe che si è poi fissato come cognome nelle registrazioni civili moderne.

Þórir Jóhann Helgason, nato a Hafnarfjörður il 28 settembre 2000, porta un cognome che nasce direttamente dalla struttura più antica dell’identità islandese, dove i veri “cognomi” di famiglia, nel senso europeo, quasi non esistono. In Islanda infatti si utilizza un sistema patronimico: il cognome indica il nome del padre, seguito dal suffisso -son (“figlio di”) o -dóttir (“figlia di”). “Helgason” significa letteralmente “figlio di Helgi”. Il nome Helgi è uno degli antroponimi più antichi della tradizione nordica e deriva dalla parola norrena heilagr, che significa “sacro”, “benedetto”, “consacrato”. Nelle saghe vichinghe, Helgi era spesso un nome attribuito a eroi, guerrieri e personaggi ritenuti protetti dagli dèi o destinati a grandi imprese.

Danilo Veiga, difensore del Lecce, nato a Gondomar il 25 settembre 2002, porta un cognome che affonda profondamente nelle radici toponimiche del Portogallo. “Veiga” deriva dal termine antico portoghese, condiviso anche con il galiziano, veiga, che significa “pianura fertile”, “prato irrigato”, “campo verde vicino a un corso d’acqua”. Era una parola utilizzata per indicare le terre ricche e coltivabili, fondamentali per l’economia agricola delle comunità medievali. Come cognome, “Veiga” veniva assegnato a chi abitava o lavorava in prossimità di queste zone pianeggianti e produttive, oppure proveniva da uno dei tanti villaggi o località chiamate proprio “Veiga”. È dunque un nome profondamente legato alla terra, al paesaggio rurale e al lavoro nei campi, che identifica non tanto una singola professione quanto una collocazione geografica, un modo di vivere immerso nella natura e nei ritmi agricoli della regione nord-occidentale della penisola iberica.

Lecce: tra clan, fuoco sacro e giorni della nascita: i nomi di Banda, Ramadani e Kouassi

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Lameck Banda, nato a Lusaka il 29 gennaio 2001, porta un cognome che affonda le proprie radici nell’Africa australe e che ha un significato fortemente legato alla cultura delle comunità bantu, molto diffuse in Zambia, Malawi e Mozambico. “Banda” è un cognome che deriva direttamente da una parola appartenente a diverse lingue bantu con il significato di “famiglia”, “clan”, “gruppo unito” o “coloro che stanno insieme”. In alcune tradizioni locali, il termine può richiamare anche l’idea di alleanza o di unione compatta, usata per identificare nuclei familiari allargati o comunità riconoscibili per legami di sangue e solidarietà.

Ylber Ramadani, leader a centrocampo del Lecce, nato a Starnberg il 12 aprile 1996, porta un cognome che racconta l’incontro tra la tradizione albanese e l’eredità culturale del mondo islamico balcanico. “Ramadani” deriva dal nome Ramadan, il mese sacro dell’Islam dedicato al digiuno, alla purificazione spirituale e alla riflessione interiore. A sua volta, “Ramadan” proviene dall’arabo ramaḍa, che significa “ardere, scottare”, richiamando simbolicamente il calore della prova fisica e spirituale vissuta durante il periodo di digiuno. Nei Balcani, soprattutto in Albania, Kosovo e Macedonia, il cognome “Ramadani” nacque come patronimico o identificativo religioso, spesso assegnato a famiglie in cui un antenato si chiamava Ramadan oppure a bambini nati durante il mese sacro, trasformando così un riferimento spirituale in un segno di appartenenza familiare. Col tempo, il nome si è stabilizzato come cognome a tutti gli effetti, divenendo molto diffuso nelle comunità musulmane albanesi.

Christ-Owen Kouassi, nato a Parigi il 15 aprile 2003, porta un cognome che affonda le radici nella tradizione dell’Africa occidentale, in particolare tra i popoli Akan della Costa d’Avorio e del Ghana, dove il nome personale non è soltanto un suono, ma un vero elemento identitario legato al tempo e alla spiritualità. “Kouassi” nasce infatti come nome assegnato ai bambini maschi nati di domenica, secondo l’antica usanza Akan che lega il nome al giorno della settimana in cui si viene al mondo. Ogni giorno possiede un valore simbolico preciso e porta con sé caratteristiche spirituali e caratteriali; la domenica, in particolare, richiama luce, rinascita e positività. Quando queste comunità sono entrate nei sistemi anagrafici occidentali, molti di questi nomi personali sono diventati veri e propri cognomi di famiglia, stabilizzandosi e trasmettendosi di generazione in generazione.

Tra visi popolari, menti sottili e canti all’alba: i nomi di Camarda, Sottil e Gallo

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Francesco Camarda, attaccante del Lecce, nato a Milano il 10 marzo 2008, porta un cognome che affonda le sue radici nel Sud Italia e racconta una storia fatta di soprannomi medievali e caratteristiche personali trasformate in identità familiari. “Camarda” è infatti un cognome di origine dialettale, diffuso soprattutto in Calabria e Sicilia, dove deriverebbe dal termine popolare camardu o camarda, usato per indicare una persona dal viso piatto o largo, oppure con tratti somatici marcati. In passato, molti cognomi nascevano proprio così: da un soprannome legato all’aspetto fisico che permetteva di distinguere un individuo all’interno di piccole comunità. In alcune tradizioni locali, tuttavia, il termine “Camarda” è stato assimilato anche a un’idea di persona schietta, rustica, semplice, quasi “di campagna”, mantenendo quindi uno sfondo popolare che racconta una storia lontana dalle corti nobili e vicina alla vita quotidiana del popolo.

Riccardo Sottil, nato a Torino il 3 giugno 1999, porta un cognome che nasce direttamente dal linguaggio comune e dai soprannomi popolari dell’Italia medievale. “Sottil” è infatti la forma dialettale settentrionale di “sottile”, parola che indicava una persona snella, minuta, agile o dalla corporatura leggera. Come molti cognomi descrittivi, venne assegnato per distinguere un individuo all’interno di una piccola comunità, diventando poi, col passare dei secoli, un cognome ereditario trasmesso ai discendenti. Il termine non aveva solo un significato fisico: nella lingua antica “sottile” poteva alludere anche a una mente acuta, rapida, ingegnosa, una persona fine nei ragionamenti e pronta nell’intuizione. Per questo, il cognome Sottil porta con sé una doppia sfumatura: da un lato l’immagine di una figura agile e leggera; dall’altro quella di un carattere brillante e scaltro.

Antonino Gallo, terzino sinistro del Lecce, nato a Palermo il 5 gennaio 2000, porta un cognome tra i più antichi e simbolici della tradizione italiana ed europea. “Gallo” deriva direttamente dal latino gallus, che indica il maschio della gallina, animale da sempre carico di significati simbolici: vigilanza, fierezza, risveglio e orgoglio. Nell’immaginario medievale il gallo era il custode dell’alba, colui che annuncia la luce sconfiggendo le tenebre, tanto da diventare emblema di attenzione e prontezza. Come cognome, “Gallo” nasce soprattutto come soprannome, attribuito a una persona dal carattere vivace, fiero o combattivo, oppure, in alcuni casi, a chi allevava pollame o commerciava animali da cortile. In altre situazioni poteva indicare qualcuno noto per la voce forte o per il temperamento “canterino”, sempre pronto a farsi notare, proprio come il gallo nel pollaio.

Tra fabbri sacri, rapaci nobili e campi coltivati: i nomi di Coulibaly, Falcone e Marchwinski

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Lassana Coulibaly, nato a Bamako il 10 aprile 1996, porta un cognome che affonda le sue radici nella storia profonda dell’Africa occidentale, in particolare nell’area del Mali, della Guinea, del Senegal e della Costa d’Avorio, dove “Coulibaly” è uno dei cognomi più diffusi e carichi di significato. “Coulibaly” (o Kulibali, Kouloubali nelle varianti locali) deriva dalla tradizione dei popoli Mandé ed è storicamente legato all’antico Impero del Mali, una delle grandi civiltà medievali africane. Il nome del clan “Koulibaly” indicava famiglie appartenenti a una stirpe di fabbri e guerrieri, mestieri che nelle società mandingo erano considerati sacri: il fabbro non lavorava semplicemente il ferro, ma trasformava la materia, possedeva conoscenze segrete, era rispettato come custode di tecniche e simboli antichi. Parallelamente, molti membri del clan si distinsero anche come combattenti e difensori delle comunità.

Wladimiro Falcone, portiere del Lecce, nato a Roma il 12 aprile 1995, porta un cognome che appartiene alla grande famiglia dei nomi ispirati agli animali-simbolo, capaci di raccontare tratti di carattere prima ancora che origini geografiche. “Falcone” deriva direttamente dal latino falco, cioè il falco, rapace da sempre associato alla vista acutissima, alla rapidità e alla fierezza. Nell’antichità e nel Medioevo il falco era l’animale nobile per eccellenza, utilizzato nella falconeria dai signori e dalle corti, diventando emblema di controllo, maestria e potere. Come cognome, “Falcone” nasce prevalentemente come soprannome: poteva indicare una persona particolarmente agile, dagli occhi penetranti, veloce nei movimenti o dal temperamento fiero, paragonato proprio al rapace. In altri casi poteva derivare da chi praticava o lavorava nella falconeria, attività molto diffusa nei secoli passati, specie nelle regioni del Centro e Sud Italia.

Filip Marchwinski, nato a Poznan il 10 gennaio 2002, porta un cognome che affonda le sue radici nella tradizione linguistica polacca, dove molti nomi di famiglia nascono dal legame diretto con mestieri agricoli o attività della vita quotidiana. “Marchwinski” deriva infatti dal termine polacco marchew (si legge marhev), che significa “carota”. In origine, il cognome indicava una persona legata alla coltivazione o al commercio delle carote, oppure qualcuno che viveva in una zona particolarmente conosciuta per questo tipo di produzione agricola.

Al sostantivo “marchew” si aggiunge il suffisso -iński, tipico della lingua polacca e usato per trasformare un riferimento pratico o geografico in un cognome vero e proprio, dando il senso di appartenenza o provenienza: “di…”, “originario di…”, “legato a…”. Marchwiński può quindi essere interpretato come “colui che proviene dal luogo delle carote” oppure, più liberamente, “discendente del coltivatore di carote”.