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Quando il Napoli ha deciso di affondare il colpo per Noa Lang, investendo una cifra importante per strapparlo al club olandese e portarlo in Serie A, era chiaro a tutti che non si trattasse di un semplice acquisto di contorno. Doveva essere uno dei volti nuovi della ricostruzione, un riferimento creativo sulla fascia sinistra, il giocatore chiamato a dare strappi, imprevedibilità e gol in un contesto molto più esigente rispetto all’Eredivisie.
Alle spalle, Lang aveva stagioni da protagonista: numeri in doppia cifra tra gol e assist, tanta produzione offensiva, dribbling, personalità da leader tecnico e caratteriale. Insomma, il profilo perfetto per una squadra che voleva mantenere una forte vocazione offensiva, ma che allo stesso tempo si affidava a un allenatore come Antonio Conte, che pretende disciplina, sacrificio e grande intensità in entrambe le fasi.
La realtà dei primi mesi a Napoli è stata molto più dura delle presentazioni ufficiali e degli highlights con la maglia olandese. Lang ha trovato pochissimo spazio: minutaggio ridotto, partite iniziate dalla panchina e la sensazione di non essere al centro del progetto tecnico. Un contesto nuovo, una preparazione fisica molto pesante, uno standard di competitività diverso: l’impatto con il mondo di Conte è stato brusco.
Lo si è percepito anche da alcune dichiarazioni circolate nei dintorni della nazionale olandese: racconti di allenamenti duri, di un ritiro in cui la palla si vede poco e si lavora tantissimo sulla condizione e sull’organizzazione. Per un calciatore come Lang, abituato a sentirsi protagonista soprattutto con il pallone tra i piedi, il cambio di paradigma è stato radicale.
Non è mancata nemmeno la frustrazione: in più di un’occasione è trapelata la sensazione che il giocatore faticasse a capire il proprio ruolo all’interno del progetto, che non fosse ancora riuscito a entrare pienamente nelle idee del tecnico, né come posizione in campo né come gerarchie nello spogliatoio.
Il punto di svolta non riguarda solo Lang, ma l’intero Napoli. Dopo una fase di assestamento e una classifica di Serie A che rischiava di prendere una piega negativa e compromettente, Conte decide di fare quello che ha spesso fatto in carriera: tornare alle sue certezze. Linea a tre in difesa, due esterni a tutta fascia, grande compattezza in non possesso e un 3-4-3 che permette alla squadra di essere corta, aggressiva e verticale.
Dentro questa struttura, il ruolo degli attaccanti esterni diventa fondamentale. Sono loro a dover dare ampiezza, a occupare i mezzi spazi, a lavorare sulle seconde palle e sulle transizioni. Ed è qui che Lang trova finalmente una collocazione stabile: titolare nel tridente, partendo da sinistra ma con libertà di accentrarsi, ricevere tra le linee e dialogare con la punta e con il centrocampo.
La sensazione, guardando le ultime partite, è che la scintilla sia scoccata. Lang ha iniziato non solo a giocare di più, ma a incidere: partecipazione attiva alla manovra offensiva, maggior presenza negli ultimi metri, gol pesanti e contributo concreto in termini di pericolosità. La prima rete con il Napoli – arrivata in una gara importante come quella contro l’Atalanta e in un momento delicato – ha rappresentato un vero spartiacque, perché ha sbloccato non solo le statistiche ma anche la percezione del giocatore all’interno dell’ambiente.
La crescita di Lang non è solo una questione di fiducia, ma soprattutto di ruolo e di atteggiamento. Nel 3-4-3 di Conte l’olandese non è semplicemente un esterno offensivo che punta il terzino avversario e rientra sul piede forte. È un ibrido tra ala e trequartista, con compiti molto più complessi rispetto a quelli che aveva in Olanda.
In fase offensiva deve:
In fase difensiva, invece, deve:
È una trasformazione profonda: da talento anarchico che gioca principalmente per creare qualcosa con il pallone, a pedina integrata in un meccanismo molto rigido, dove il singolo è funzionale al collettivo. E il segnale migliore è che Lang ha iniziato ad accettare questo patto: si vede nel numero di ripiegamenti, nella disponibilità a correre anche quando l’azione non lo coinvolge, nel modo in cui sceglie con più criterio quando rischiare la giocata. Ogni suo movimento, ogni sua scelta e decisione possono essere influenti per il risultato del Napoli in partita o nelle intere competizioni.
Se ci si limita alle statistiche pure, la produzione di Lang è ancora in fase di costruzione: il totale di gol e assist non è paragonabile alle sue migliori stagioni in Olanda. Ma sarebbe superficiale fermarsi qui. Il minutaggio è aumentato nelle ultime settimane, gli expected goals e le occasioni create per i compagni sono in crescita, e soprattutto la qualità delle sue prestazioni è molto più continua.
Il dato forse più interessante è la sua partecipazione allo sviluppo dell’azione: riceve spesso tra le linee, guida le transizioni, attacca l’area con più frequenza rispetto ai primi mesi. Non è più il giocatore che aspetta il pallone largo in fascia per l’uno contro uno, ma un riferimento continuo in tutte le fasi della manovra.
E poi ci sono le sensazioni, che in un contesto come Napoli contano tanto quanto i numeri: lo stadio ha cominciato a riconoscere il suo impegno, a reagire alle sue giocate, a percepirlo non più come un corpo estraneo ma come uno dei possibili leader tecnici di questa squadra.
L’acquisto di Lang non è stato solo un investimento economico, ma anche una scelta di identità: puntare su un talento forte, ma con un carattere particolare, significava assumersi dei rischi. Per settimane quell’operazione è sembrata quasi controproducente: un grande nome fermo in panchina, oggetto di critiche e discussioni.
Oggi lo scenario è diverso. Lang è un titolare nel 3-4-3 di Conte, un giocatore che ha iniziato a restituire sul campo quanto il club ha deciso di investire su di lui. L’allenatore non è tipo da regalare maglie per accontentare il mercato: se gioca, è perché ha convinto in allenamento e in partita. È questo che rende significativa la sua affermazione recente.
La stagione è ancora lunga e il percorso di Lang non è affatto concluso. Dovrà dimostrare di saper reggere la pressione delle grandi sfide, di mantenere continuità e di migliorare ulteriormente nella lettura dei momenti della partita. Ma, rispetto ai mesi iniziali, la sua traiettoria è completamente cambiata.
Da “caso” di mercato, rischioso e discusso, sta diventando un valore strutturale del Napoli di Conte. Se continuerà così, potrà trasformarsi in uno dei simboli di questa nuova fase azzurra: il talento che ha accettato di cambiare per vincere, e l’investimento che, dopo tanta attesa, ha iniziato davvero a dare frutti concreti.
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