Non c’è dolore più innaturale, più straziante, più devastante di quello che prova un genitore quando perde un figlio. È qualcosa che non ha parole, non ha logica, non ha pietà. È come se l’universo, per un istante, avesse smesso di seguire ogni regola di giustizia e avesse colpito nel punto più sacro, più fragile, più prezioso: la vita di un bambino. E con essa, il cuore di chi lo ha messo al mondo, amato, cresciuto, protetto, sognato.
Il cordoglio
Verreth-Bertagnoli: può un genitore sopravvivere alla morte di un figlio?

Un genitore non è preparato a sopravvivere a un figlio. Perché tutta la sua esistenza si costruisce intorno a quel futuro, a quella piccola persona che un giorno camminerà da sola, riderà forte, amerà, sbaglierà, crescerà. E quando quel futuro viene strappato via, non si frantuma solo un sogno. Si sgretola l’anima. Si resta lì, immobili, senza fiato, con le mani vuote e il cuore che non riconosce più se stesso.
Eppure, in mezzo a quel vuoto, qualcosa rimane. Una voce, una risata, un odore nella stanza, un disegno appeso al frigorifero. Resta l’amore, che non muore mai. Anche quando tutto il resto sembra crollare, l’amore resta. E diventa ciò che tiene in piedi, ciò che dà senso anche a ciò che un senso non ce l’ha.
Il tempo non guarisce. Chi lo dice, mente. Ma il tempo trasforma: il dolore tagliente diventa ferita, poi cicatrice. E quella cicatrice pulsa ogni giorno, ma comincia a raccontare qualcosa. Non solo ciò che si è perso, ma anche ciò che si è avuto. Un dono breve, sì, ma eterno.
E allora, davanti agli occhi innocenti di chi resta, dei fratellini che non capiscono, che cercano quel letto vuoto, quella voce che non arriva più, si può solo stringerli forte. Guardarli negli occhi, e dire loro la verità più tenera che esista: che il loro fratellino adesso è luce, è vento leggero, è angelo che veglia su di loro, ogni giorno, ogni notte. Che non è scomparso, è solo cambiato, e vive in tutto ciò che ci fa sentire ancora vivi: in una canzone, in un abbraccio, in un raggio di sole che filtra tra le tende.
Non si dimentica. Non si accetta. Ma si ama lo stesso, ancora di più.
Con una forza nuova, fatta di lacrime, di memoria, di silenzio. E di una dolcezza che il dolore non riuscirà mai a portare via.
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