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VIRTUS BOLOGNA CAMPIONE D'ITALIA

Salire sul carro della Virtus Bologna nel giorno del titolo tricolore: si può?

Salire sul carro della Virtus Bologna nel giorno del titolo tricolore: si può?

La storia di Bologna, la storia del basket italiano

Redazione DDD

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

Gentili lettrici e gentili lettori, sapete quante volte ho fustigato il popolo bue che corre sul carro non appena scorge uno strapuntino di gloria che spetterebbe ad altri, o comunque da altri procurato, incurante della dignità, facile all’emozione «a distanza», abbonato alla ola per interposta impresa. E’ per questo che chiedo umilmente venia se mi arrampico sul carro della Virtus, campione d’Italia del basket dopo vent’anni, 4-0 all’Olimpia-Armani nei play-off scudetto. Potrei cavarmela parafrasando l’avvocato Prisco, e tirare in ballo «una zia di Bologna tifosa della Virtus». Sono di Bologna, è vero, e ho pure una zia: vero anche questo. Ma sono io che tifo, sin da piccolo, per le vu nere. Lo so, non si fa così. Soprattutto perché sono (o lo ero?) un giornalista: non importa se in pensione (quando sono giù) o se freelance (quando sono su, come, uhm, questa notte).

Penso a Gianfranco Civolani, che dà lassù si starà facendo una fumatina in onore di Beli e Teo, «quei bei passeroni». Penso a Gianfranco Lombardi, livornese, che con i suoi canestri e i suoi moccoli mi rubò gli aggettivi e indirizzò la passione. Penso a un altro avvocato, Gianluigi Porelli, l’uomo che portò la Virtus nel presente, stanco di sentirne parlare al futuro. A Peppino, il tifoso che in via Clavature teneva cattedra e bottega. Penso alla mia Bologna, a quella piazza Azzarita che, per via dei pullman che sostavano davanti al Palasport, chiamavo ogni tanto piazzale, «esan» che non ero altro. Lo so: è troppo comodo strisciare lontano per anni, mendicare in clandestinità spiccioli di risultati, leggere cronache fugaci e archiviare batoste omeriche, prima che qualsiasi Gallo cantasse, e d’improvviso scendere dal pero per accodarsi a coloro che, viceversa, non si sono mai nascosti, neppure in A-2. Mi sento uno Schettino alla rovescia. L’ultima parola spetta a Claudio Pea: vostro onore, posso?

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