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Da Lazio e Atalanta alla ferramenta: il negozio di Leonardo Talamonti è a 50 metri da casa sua…

Leonardo Talamonti nel suo Paese

La nuova vita del 38enne ex difensore argentino di Lazio, Atalanta e River Plate

Redazione DDD

In Serie A è un giocatore dello scorso decennio, con più di 100 presenze nel nostro campionato con Lazio e Atalanta. Oggi Leonardo Talamonti, difensore argentino che ha vestito maglie prestigiose come quella del River Plate, ha 38 anni ma ha cambiato completamente vita come ha raccontato a Tuttomercatoweb: "Ho aperto un negozio di ferramenta sette anni fa, nel mio paese natale, Álvarez. Quando ho avviato l'attività giocavo ancora, appesi gli scarpini al chiodo è divenuto il mio lavoro a tempo pieno. Ho avuto la possibilità di rimanere nel calcio. Ho sentito procuratori che mi hanno proposto di collaborare ma mi è stata anche offerta la possibilità di fare il direttore sportivo in Argentina. Ho detto sempre di no. Il calcio nella mia vita c'è sempre, ma è puro hobby: quattro volte alla settimana alleno i bambini di 12 anni di una squadra del mio paese, che si chiama Union de Álvarez. Mi è sempre piaciuta l'idea della ferramente. Sono un appassionato di motori e anche a casa mi diverto a fare dei lavoretti".

I motivi della svolta: "Gli ultimi anni di carriera. Dopo l'esperienza all'Atalanta sono tornato in Argentina per giocare con la mia squadra del cuore, il Rosario Central. Era retrocesso e volevo contribuire alla risalita. Gli infortuni mi hanno purtroppo penalizzato, non riuscivo a giocare tre partite consecutive e a 31 anni ho detto basta. Solo che tornavo a casa nervoso, non andava bene. Ho quindi deciso di continuare a giocare, ma in categorie minori. E lì ho visto cose che mi hanno fatto riflettere: se nel massimo campionato le cifre che girano, specie al River e al Boca sono comparabili a quelle europee, un calciatore già dalla Serie B argentina guadagna come un operaio, figurarsi più giù. I ragazzi vanno in allenamento in treno, in metro. Se le cose vanno male è difficile tirare avanti. Ed è una cosa che mi ha svegliato. Mi son detto: quando smetto torno al mio paese e voglio vivere tranquillo. Così ho deciso di cambiare attività. Non ho bisogno di soldi né di restare in quel mondo. Sono felice così, non ho bisogno di altro. Mi alzo alle 7, a 50 metri da casa ho il negozio, nel pomeriggio vado ad allenare i bambini. No, non ho bisogno di tornare in Europa. Se non da turista e con la mia nuova vita posso permettermi di andare in vacanza ogni 4 mesi".

I ricordi dell'Italia: "Ho tanti amici a Bergamo, che è una città che amo. Perché mi ha aperto porte che alla Lazio mi avevano chiuso. Per questo sono grato alla famiglia Ruggeri che ha avuto fiducia in me. E ringrazio anche la famiglia Percassi, con la quale abbiamo vinto un campionato di Serie B. Naturalmente sono grato alla Lazio, perché prima del mio trasferimento in Italia non mi conosceva nessuno. Purtroppo ho giocato poco, ero in prestito dal Central ma il presidente inizialmente mi aveva detto che mi avrebbe confermato. Solo che non l'ho più sentito. Credo che Lotito non sapesse nemmeno chi fossi. Ci sono state cose anche positive, perché la tifoseria era davvero bella e i compagni di squadra mi hanno aiutato a inserirmi. Penso a Couto, che parlava spagnolo, o Di Canio o Manfredini. Ma con la dirigenza non mi sono trovato proprio".

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