In Portogallo lo chiamano semplicemente O Clássico. Porto-Benfica è un confronto tra due filosofie, due città, due modi di essere portoghesi. Nord contro Sud, la più tipica delle rivalità nazionali, declinata in salsa lusitana. L’orgoglio granitico di Porto contro la luce e l’abbondanza di Lisbona, la capitale che detta il passo e la seconda città, a cui la provincia sta stretta.
Il calcio e la città
Porto-Benfica: il derby di Portogallo tra granito e azulejos

Porto, tra Gotico e Modernismo

Porto vive di contrasti. È una città spigolosa, scolpita nel granito, dove la severità compatta delle chiese gotiche – come la Sé che domina dall’alto la Capital do Norte – incontra il ferro del Ponte Dom Luís I, che la collega alla riva meridionale del fiume Douro. La sua, è una bellezza che si svela lentamente.
Anche se l’intero centro storico è stato classificato come Monumento Nazionale, passeggiare per Porto non è come visitare un museo a cielo aperto, ma una città viva: le case sono alte e irregolari per adattarsi alla morfologia collinare del territorio, le loro facciate sono semplici, ornate da balconi in ferro battuto o illuminate da intonaci color pastello. È una città di mercanti e lavoratori, di buon vino e di orgoglio locale. Qui la vita quotidiana scorre tra piccole botteghe, orti urbani e caffè frequentati da residenti: nei secoli, Porto ha saputo resistere alle razzie dei Visigoti e dei Normanni, oggi la gentrificazione e l’overtourism non dovrebbero essere un grande problema.
L’Estádio do Dragão, moderno ma austero, riflette l’identità della città e della squadra di casa: non ha bisogno di stupire, ma di resistere. Il mood dell’FC Porto è esattamente questo: un drago che non si arrende mai, ma l’outsider che ha sempre avuto il fegato di sfidare la capitale.
Lisbona, lo splendore del manuelino

Se quello di Porto è un fascino che arriva piano, a ondate, Lisbona è la città della luce: aperta e scenografica, distesa sull’Atlantico come un palcoscenico. Seconda capitale più antica d’Europa, è sopravvissuta a incendi, pestilenze, terremoti, dittature e crisi finanziarie, rinascendo ogni volta dalle sue ceneri, più splendente di prima. Popolare, indolente e malinconica come tutte le città portuali, qui l’architettura si fa racconto: non a caso, la leggenda vuole che vi approdò Ulisse.
Lisbona ha diverse anime: l’eleganza matematica della Baixa –dalle rive del Tago fino all’Avenida da Liberada – lo stile manuelino dei Jerónimos e della Torre di Belém, ai piedi della quale vengono preparati i migliori pasteis del Portogallo, le facciate ricoperte di azulejos che risplendono al sole e raccontano le cadute e le rinascite della città, il Bairro Alto che profuma di fado e nostalgia, nel ricordo dei canti dei marinai portoghesi che partivano alla scoperta del mondo sui galeoni.
Il Benfica nasce e cresce in questo contesto, è così che è diventato “O Glorioso”: il club più titolato, monumentale come la sua città. Il Da Luz, lo stadio della Luce, ha un nome che è già un manifesto programmatico.
Porto-Benfica: un clash architettonico e simbolico
—Porto-Benfica è lo scontro di due immaginari architettonici e culturali: la Lisbona dei palazzi di ceramica e dei sogni oceanici contro il Porto delle pietre scure e delle salite tortuose. Da un lato l’azzurro e la delicatezza degli azulejos, dall’altro il granito che resiste al tempo come alle invasioni barbariche.
In campo, vince chi segna di più. Fuori, resta l’equilibrio fragile e perfetto di due città rivali e inseparabili, due volti diversi dello stesso Portogallo, fatto di granito ma anche di luce.
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