Portiere affidabile, uomo di spogliatoio e protagonista di una carriera costruita con sacrificio e personalità, Michelangelo Rampulla ha attraversato il calcio italiano vivendo tutte le sue sfumature, dai campi di provincia alle grandi piazze. Rimasto nella memoria collettiva per essere stato il primo portiere a segnare su azione nella storia della Serie A, Rampulla è stato anche un punto di riferimento silenzioso in squadre di alto livello, sempre mettendo il gruppo davanti a tutto. Oggi, con lo sguardo di chi ha vissuto il campo, lo spogliatoio e la panchina, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di DDD per analizzare il momento della Juventus, il valore dei cicli nel calcio, il ruolo degli allenatori esperti, l’evoluzione del campionato italiano e il futuro dei portieri, raccontandosi senza filtri tra ricordi, analisi e visione.
INTERVISTA
ESCLUSIVA – Rampulla: “Spalletti è l’uomo giusto per la Juve. Nicola? Sottovalutato…”

Rampulla: "Spalletti è l'uomo giusto per la Juve"
—Osservando il percorso recente della Juventus, quali pensi siano le radici reali delle difficoltà attuali della squadra e quali fattori ambientali, tecnici e strutturali devono ritornare a incastrarsi affinché il club possa rientrare in un ciclo vincente come quelli che hanno caratterizzato la sua storia?
"Le difficoltà della Juventus vengono da un insieme di fattori che si sono sommati nel tempo. Oggi ci sono squadre molto attrezzate che hanno trovato continuità e identità, mentre la Juve si trova in un momento naturale di ricostruzione. Nel calcio esistono dei cicli: ci sono periodi in cui hai giocatori perfetti per l’idea dell’allenatore e tutto funziona quasi automaticamente, e poi momenti in cui devi ripartire, cambiare qualcosa, magari ricostruire dalle basi. In queste fasi serve calma, serve pazienza, perché non si può pretendere che tutto torni subito com’era. La Juve prima o poi rientrerà in un ciclo vincente, come è sempre successo, ma la condizione fondamentale è non farsi prendere dalla frenesia e dare stabilità al progetto tecnico".
Considerando il valore dell’organico e la necessità di un nuovo ciclo, pensi che Luciano Spalletti possa essere la figura ideale per impostare un percorso di crescita duraturo alla Juventus, sia dal punto di vista tecnico che psicologico?
"Assolutamente sì. Spalletti è uno degli allenatori più preparati e completi che ci siano oggi in circolazione. Ha una grande conoscenza del gioco e soprattutto una gestione umana e psicologica che in ambienti complessi come quello bianconero fa la differenza. Non sente la pressione, è abituato a lavorare dove c’è aspettativa e responsabilità. Anzi, è proprio lì che dà il meglio. In più è uno che costruisce, che pianifica, che si adatta alla squadra e sa far crescere i giocatori. È alla Juve solo da un mese, e in un contesto così grande ci vuole tempo per impostare una nuova mentalità. Se gli permetteranno di lavorare con continuità, può davvero aprire un nuovo ciclo vincente".
Poco fa c'è stato l'esonero di Igor Tudor: secondo te quali sono le differenze più importanti tra lui e Spalletti e perché ritieni che uno dei due sia più adatto all’ambiente juventino?
"Tudor è un allenatore con idee chiare e con grande energia, però è ancora relativamente giovane per un ambiente come quello della Juventus, dove ogni dettaglio deve essere perfetto e dove la pressione è costante. A Torino non basta essere bravi: serve esperienza, serve aver vissuto certe situazioni e saper gestire le tempistiche, la comunicazione, lo spogliatoio. Spalletti questo bagaglio lo ha. Ha allenato in contesti di altissimo livello, ha vinto, ha superato momenti complicati e sa come guidare un gruppo anche nei periodi difficili. Ecco perché, ad oggi, Spalletti è la scelta più naturale per la Juve".

"Tra Perin e Di Gregorio, ecco chi metterei titolare"
—La Juventus dispone di due portieri affidabili come Di Gregorio e Perin. A tuo avviso, qual è il modo migliore per gestire la loro competizione interna e perché ritieni fondamentale stabilire gerarchie chiare in un ruolo così delicato?
"Avere due portieri di questo livello è una fortuna, ma può anche diventare un problema se non gestito con attenzione. Il portiere è un ruolo di enorme responsabilità: serve tranquillità, serve sentirsi protetti e avere la certezza del proprio posto. Quando un portiere sente troppa pressione o teme di non avere continuità, è naturale che possa commettere errori. Per questo io non sono d’accordo con rotazioni o competizioni costanti. Devi avere un titolare chiaro. Perin per me ha esperienza, qualità enormi e avrebbe potuto fare il titolare in qualsiasi squadra. Di Gregorio è bravissimo, ma sono dello stesso livello, e proprio per questo la competizione rischia di nuocere a entrambi. Servono ruoli predefiniti: è la base per dare serenità alla squadra".
Se dovessi indicare i portieri italiani che ritieni più pronti e più forti oggi, su quali nomi punteresti e per quale motivo?
"L’Italia continua ad essere un paese che produce grandi portieri. I migliori oggi sono Donnarumma, Meret, Caprile, Vicario e Carnesecchi. Ognuno di loro ha caratteristiche diverse ma tutti hanno grande prospettiva. Donnarumma è già un campione affermato; Meret ha compiuto una crescita notevole; Caprile è uno dei talenti più puri; Vicario ha fatto un salto enorme in Premier; Carnesecchi ha grande presenza e personalità. È un reparto dove la tradizione non si è mai interrotta: siamo sempre stati forti in porta e continuiamo ad esserlo".
Rampulla: "Inter e Napoli le più attrezzate, ma occhio al Milan per lo Scudetto"
—Dal tuo punto di vista, com’è cambiata la Serie A negli ultimi anni e quali aspetti ritieni abbiano inciso maggiormente sul suo livello tecnico e tattico?
"La Serie A rimane un campionato difficile perché è tattico, studiato e molto competitivo. Ma oggi c’è un livellamento verso il basso: le squadre si assomigliano di più, giocano tutte alla stessa maniera, con costruzione dal basso, difesa a tre, tanti passaggi… È un po’ quello che succedeva quando tutti imitavano Sacchi e poi Guardiola. Ora è un calcio più fisico, più compassato, più uniforme. Manca un po’ di varietà tattica e questo influisce sul livello complessivo".
Considerando quanto visto finora e la qualità delle rose, quali squadre ritieni più attrezzate per lottare realmente per lo Scudetto?
"Inter e Napoli sono le più attrezzate: hanno continuità, profondità e identità. Il Milan è molto solido, ha un equilibrio importante. Queste tre squadre, per quello che sta dicendo il campionato, sono le più pronte per lottare per il titolo".
"La Cremonese la porto sempre nel cuore. E Nicola merita piazze più importanti"
—Hai lavorato direttamente con Davide Nicola: quali sono le qualità principali che lo rendono un allenatore speciale e perché pensi meriti una panchina di livello più alto?
"Nicola è un tecnico eccezionale, sia dal punto di vista tattico che umano. Ha idee chiare, è uno che lavora con metodo e riesce a far credere ai giocatori in quello che fa. Lo chiamano spesso in situazioni complicate perché sa gestire momenti difficili, ma questo non significa che sia bravo solo a salvare squadre: è molto di più. A Cremona sta dimostrando di saper costruire gioco, organizzazione e mentalità. La squadra lo segue e hanno imboccato una strada molto positiva. Per me merita una panchina importante: il calcio italiano avrebbe bisogno di più persone come lui".

Rampulla: "Sono passati 33 anni, ma mi emoziono ancora al ricordo di quel gol..."
—Sei stato il primo portiere a segnare su azione nella storia della Serie A. Che ricordi hai di quel momento e che significato ha avuto per te anche a distanza di tanti anni?
"È stato un momento unico, difficile da spiegare. Io avevo tirato rigori nelle giovanili, ma segnare un gol su azione in Serie A da portiere è qualcosa che non ti aspetti, e la verità è che non mi resi subito conto di cosa avevo fatto. Quando i compagni mi abbracciarono fu incredibile, un turbinio di emozioni. Tornato in porta, guardai il tabellone e vidi il mio cognome: restai sbalordito. Mi chiesi: “Ma cosa ho combinato?”. È il sogno di ogni bambino: vedere la palla che entra e renderti conto che hai fatto qualcosa di eccezionale. Sono passati 33 anni e ogni volta che ne parlo mi emoziono ancora".
Ripensando oggi al tuo percorso, alle scelte fatte e alle esperienze vissute, cosa rifaresti e cosa invece cambieresti con la consapevolezza che hai maturato nel tempo?
"Io sono contento della mia carriera, ma come tutti cambierei alcune cose. Con l’esperienza di oggi, forse farei scelte diverse in certi momenti. Dopo 12 anni tra Serie A e B, ho preso una decisione importante a 30 anni perché era l’ultima occasione di andare in una grande squadra. A 24 anni non l’avrei mai fatta. Ma fa parte del percorso: ogni scelta ha un peso diverso a seconda dell’età e del momento che vivi".
Dopo la lunga parentesi da allenatore e l’esperienza internazionale, quali sono i tuoi obiettivi futuri e quanto senti il desiderio di tornare a lavorare quotidianamente sul campo?
"Ora mi sono preso una pausa, necessaria dopo tanti anni, ma il campo mi manca. Mi piacerebbe tornare a lavorare, soprattutto con i giovani, per trasmettere la mia esperienza e quello che ho imparato in tanti anni. È un ambiente che amo e che fa parte di me".
Hai trascorso molti anni nel calcio cinese, vivendo dall’interno un movimento che aveva ambizioni enormi. Che bilancio dai a quell’esperienza e cosa, secondo te, ha impedito alla Cina di affermarsi come nuovo polo calcistico internazionale?
"In Cina ho vissuto anni molto belli. C’era entusiasmo, gli stadi erano incredibili, pieni con 50 mila persone, e sembrava che potesse nascere un movimento molto forte. Il problema principale è stato che gli investimenti non erano mirati: acquistavano giocatori importanti, ma a fine carriera, e mancavano figure trainanti capaci di far appassionare i giovani. Io ho iniziato a giocare grazie al mio idolo Zoff; in Cina questa figura non c’è mai stata. Senza un idolo, senza un riferimento, i giovani non si avvicinano al calcio con la stessa intensità. Oggi il movimento ha perso appeal, ed è un peccato perché le potenzialità erano enormi".
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