calcio italiano

Padre e figlio in panchina: momenti in cui contano solo il campo e la squadra

Carlo e Davide Ancelotti ai tempi del Bayern Monaco

Prima Ancelotti, poi Conte ed infine anche Prandelli: quando la tradizione familiare non prosegue in campo ma in panchina.

Enrico Vitolo

C’è chi prova a sfidare il passato del suo predecessore, chi invece punta tutto sul presente standogli al proprio fianco. Sta nascendo negli ultimi anni una nuova moda, se così si può definire, nel mondo del calcio italiano. Non più solo in campo con l’intento di portare avanti la tradizione familiare, ma anche in panchina con l’idea invece di rafforzarla. E con l’arrivo all’Inter formalizzato ormai un paio di mesi fa si è rafforzato il legame tra Antonio e Gianluca Conte, allenatore il primo e match analyst il secondo. Un legame, ma non quello di sangue, che va avanti ormai dal lontano 2007 quando per l’attuale tecnico neroazzurro incominciò la sua avventura a Bari con al fianco suo fratello. Poi a seguire la Juventus, la Nazionale italiana e ovviamente anche il Chelsea.

Un percorso, quello della famiglia Conte, molto simile a quello della famiglia Ancelotti. Come Gianluca anche il “piccolo” Davide ha incominciato il suo percorso da calciatore (compreso nelle giovanili del Milan quando in prima squadra c’era papà Carletto), per poi decidere di tuffarsi in un’altra esperienza. Ma pur sempre nel mondo del calcio, sempre al fianco della propria famiglia. Prima preparatore atletico del settore giovanile del Paris Saint-Germain (2012-13) e poi della prima squadra del Real Madrid (dal 2013 al 2015), dopodiché il cambio di ruolo ed ecco la trasformazione in vice allenatore. Il primo contratto nel 2016-17 ai tempi del Bayern Monaco, scelta che fece un po' rumore in Germania, il secondo appena un anno fa quando iniziò l’era Ancelotti a Napoli.

Ma siccome non c’è due senza tre, il calcio italiano vanta anche un’altra storia. Ma questa decisamente molto più breve. Era il 2010 quando la Federazione italiana annunciò Cesare Prandelli come nuovo commissario tecnico della Nazionale azzurra, al suo fianco nelle vesti di preparatore atletico fino al termine del mandato anche suo figlio Nicolò. Ma siccome tutto il mondo è paese, anche in quel caso ci furono diversi mugugni: “Pensate quello che volete” – disse papà Cesare ai quei tempi appena venne fuori la notizia – “È stata una scelta meritocratica, lui ha le caratteristiche giuste per ricoprire questo ruolo”. Un ruolo che ha poi continuato a svolgere anche in futuro (Bologna), ma non più con l’intento di rafforzare la tradizione di famiglia.

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