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Ciao Alessandro: il ponte di Rialti fra il mondo dei viola e il mondo dei gobbi

Il giornalista e scrittore Alessandro Rialti con Gabriel Batistuta

Alessandro Rialti era la Fiorentina

Redazione DDD

Alessandro, non penserai mica che ti piangeranno solo i tuoi, solo i Viola. Col cavolo. Ti piango e ti ricordo anch’io gobbo, tu che, fra parentesi, collaborasti a lungo anche con «La Stampa», che dei gobbi era e rimane il simbolo, il megafono o giù di lì. Sei stato il ponte (di Rialti) fra due mondi. E non è che quando scrivevi per noi, ti mettevi la maschera o giocavi all’infiltrato, ai «gobbi e ghibellini». Scrivevi, raccontavi, con una passione che non ti ha mai impedito di essere te stesso, con una competenza che ti ha sempre tenuto lontano dalla riverenza. Scuola fiorentina del Novecento. Non ci si sentiva da una vita, ma questo mestiere - che mestiere non è: è trastullo, è emozione, è confusione - unisce anche da lontano, avvicina persino nel silenzio. Bastava sfogliare il Corriere dello Sport-Stadio, ed eccoti lì: un pezzo, un’intervista.

Formidabili, quelle trasferte. Come il blitz dell’anti-vigilia di Natale 1995, quando con Giancarlo Padovan partimmo da Milano alle 7,30 - dopo una serrata trattativa: lui era per le 8, io per le 7 - ed entrammo in tribuna stampa sul filo delle fatidiche 14,30, proprio nel momento in cui lo speaker declamava le formazioni. E tu lì, in tribuna, a sorridere sotto quella barba e quei baffi che, d’improvviso, ho rivisto bianchi, ma non stanchi.

Siamo diventati vecchi cercando di non diventare adulti (io, soprattutto), sei un altro compagno di cordata che si stacca, un pezzo di vita, e non banalmente di carriera. Ti piaceva essere così: generoso, bulimico, il giornalismo come una missione e giammai come un un cartellino da timbrare (se mai, un tabellino). Dal nostro «ambasciatore» a Firenze: quante volte, Ciccio, te lo dicevo al telefono e tu, fingendo ritorsioni popolari, disegnavi roghi savonaroliani. Giocavamo. Bischerata più, bischerata meno. Ne valeva la penna.

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