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Ibra e il Milan: quella differenza nemmeno troppo sottile fra averlo e non averlo

NICE, FRANCE - JUNE 22:  Zlatan Ibrahimovic of Sweden lines up a free-kick during the UEFA EURO 2016 Group E match between Sweden and Belgium at Allianz Riviera Stadium on June 22, 2016 in Nice, France.  (Photo by Laurence Griffiths/Getty Images)

Ibra al Milan: la necessità di un cambio tattico per dare un senso a quest’operazione

Redazione DDD

di Max Bambara -

Se ci fosse un’immaginaria dogana delle opinioni, dinanzi alla quale tutti siamo costretti a passare, chi scrive non potrebbe che dichiarare la propria vedovanza di Zlatan Ibrahimovic, a far data dall'estate del 2012, quando il Milan scelse per ragioni prettamente economiche di cedere lui e Thiago Silva. Inutile oggi tornare su quella scelta, imposta dalla congiuntura economica scatenata dalla sentenza sul lodo Mondadori, ma terribilmente impattante sul piano del campo, visto che il Milan da quel momento inizierà una lunga fase di declino, in cui non riuscirà più ad essere competitivo per qualificarsi alla Champions League. La vedovanza nasce da quell'estate ed in tanti non ci siamo mai rassegnati all'idea di poter vedere di nuovo il fuoriclasse svedese con la maglia rossonera addosso. Pregiudizi su Ibra pertanto non ce ne possono essere, semmai attestati evidenti di parzialità.

Premesso ciò, appare opportuno fare alcune osservazioni inerenti l'impatto di Ibrahimovic nel caso di un suo eventuale arrivo in maglia rossonera. Giusto definirlo eventuale perché un anno fa praticamente tutto il coro dell'informazione dava Ibra al Milan come operazione già decisa, mentre a dicembre Leonardo spiegò pubblicamente che il giocatore svedese non sarebbe arrivato. Un anno fa, se si fosse concretizzata, quell'operazione aveva un senso tecnico e pragmatico molto forte. Quel Milan allenato da Rino Gattuso giocava infatti con il 4-4-2, scelto con convinzione dall’allenatore dopo il doppio infortunio occorso a Bonaventura e Biglia nel mese di ottobre. Le punte titolari erano Higuain e Cutrone. Non c'era nemmeno un attaccante in panchina in grado di poter dare il cambio ad entrambi e, nel caso di indisponibilità di uno dei due, Gattuso era costretto ad adattare Castillejo oppure Borini nel ruolo di punta. Non il massimo delle alternative insomma.

Quel Milan però si trovava ad un punto dalla Champions (in aperta scia di galleggiamento) e non arrivò al quarto posto, alla fine del campionato, proprio per un misero punto. Ibra, all'epoca, sarebbe stato un rinforzo assolutamente calzante e logico. Avrebbe potuto giocare al fianco di Higuain (o di Piatek comunque preso a gennaio), con Cutrone primissima riserva in panchina. Oggi lo scenario è diverso. Lo è sul piano della classifica (il Milan è a meno 11 dal quarto posto) e lo è soprattutto sul piano dei presupposti tattici. Il Milan infatti gioca un 4-3-3 che prevede una sola punta di ruolo. Teoricamente quindi il centravanti sarebbe Ibra se si continuasse a giocare con questa strutturazione, dato che è impensabile che lo svedese accetti il Milan senza la garanzia di una centralità strategica nel progetto tecnico.

Che senso avrebbe tuttavia per il Milan, in una stagione in cui persino la zona europea è lontana già 9 lunghezze, punture su un usato sicuro come Ibrahimovic per provare ad avere un risultato di breve periodo, comunque non facile viste le distanze in classifica? E soprattutto, che senso avrebbe sacrificare in panchina sia Piatek e sia Leao, due centravanti sui quali il club di via Aldo Rossi ha investito 63 milioni di euro complessivi in un'epoca di FPF in cui gli investimenti devono essere salvaguardati? Un grande club si vede nel momento in cui tutela i suoi giocatori e li supporta nei momenti di difficoltà. Bocciare due attaccanti giovani che, comunque, hanno già dimostrato valore in maglia rossonera (Piatek ha la media gol di 0,40 a partita, mentre Leao ha mostrato lampi importanti nelle poche gare in cui ha giocato), non ci sembra una soluzione improntata al buonsenso.

Se invece, nei piani del Milan, l'idea è quella di prendere Ibra come valore aggiunto al gruppo ed optare per un cambio di sistema di gioco, con un 4-4-2 in cui uno dei due centravanti fra Piatek e Leao può valorizzarsi al fianco dello svedese, la scelta di Ibra ha molto senso. Non parliamo di una differenza da poco: siamo infatti convinti che il Milan riprenderà a splendere nel recinto della competitività, soltanto quando smetterà, come ambiente globale, di volgere sempre lo sguardo al passato con l'idea di un salvatore della patria che viene e rimette tutto a posto. Sono anni duri, difficili, di sofferenza e di appartenenza in casa milanista: bisogna viverli senza fluttuare fra i retaggi del passato, ma pensando sempre a valorizzare ciò che abbiamo, dato che i valori della nostra rosa, in senso potenziale, sono superiori alla classifica attuale.

Se Ibra quindi viene come mero feticcio da dare ai tifosi in un momento di crisi, questa rischia di non essere un'operazione conveniente. Se invece viene per dare una mano all'allenatore nel valorizzare gli attaccanti sui quali il Milan ha investito per il futuro, non solo è un'operazione conveniente, ma è persino da lodare e da applaudire.

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