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Tra cellulari e app, tra cattiveria e accuse: Milan, il dovere di riscoprire l’appartenenza

Il Milan si lascia alle spalle una accesa settimana mediatica

Lo spirito rossonero da ritrovare in una fase storica delicata per il Milan

Redazione DDD

di Max Bambara -

Le polemiche, come è buon uso nel calcio italiano, sono simili alle ciliegie nei periodi di magra: una tira l'altra. Anche se sono pretestuose o palesemente tirate per i capelli, buttarle lì, nell'oceano infinito delle parole, non è difficile, anzi viene quasi ritenuto doveroso farlo. Tutto fa brodo d'altronde, persino l'acqua sporca. L'ultimo caso relativo all'uso dei telefonini da parte dei giocatori del Milan a qualche minuto dall'inizio della partita contro il Napoli (subito smentito e smontato con tanto di spiegazione pubblica da Stefano Pioli), rientra perfettamente in questo singolare show mediatico. Da troppi anni è nata una tendenza molto singolare. Se i giocatori della tua squadra non ti fanno vincere, allora tanto vale bersagliarli, oltraggiarli, umiliarli, esporli alla berlina dinanzi ad un pubblico ludibrio fatto di pomodori andati a male e di frasi urlate al fine di liberare frustrazioni mai sopite.

Non c'è alcun principio di sport in questa moda, non c'è un giornalismo sagace e adempiente al dovere dell’informazione. Siamo alla cattiveria umana che si cristallizza e si indirizza contro i giocatori ricchi, viziati, fortunati e, per qualcuno, non sufficientemente bravi. Magari sono davvero così, tuttavia le offese volgari e le accuse gratuite non rappresentano mai un punto di partenza verso qualcosa di produttivo, bensì un mero punto d'arrivo alla stazione del non senso. Siamo e saremo sempre liberi, come tifosi, di criticare i nostri giocatori, di contestarli nell'alveo di una dialettica civile, persino di mettere determinati puntini sulle i verso qualche ragazzotto che del Milan, purtroppo, non ha ancora capito molto.

Ciò che invece non dovremmo fare è raccogliere come buono e gustoso ogni osso che viene buttato dalle finestre poco nobili dei social. Solo perché certi giocatori non ci piacciono, questo non vuole dire che siano il male assoluto né che debbano essere offesi nella loro rispettabilità. Pensare che la religione “dell'offesa un tanto al chilo” sia giustificabile, arrivare a credere che l'educazione ed il rispetto per gli altri siano valori sacrificabili sull'altare di un presunto tifo cieco, è una strada senza sbocchi che tradisce il senso dello sport e che manca di rispetto alla storia del Milan. Essere tifosi rossoneri, amare appassionatamente questa maglia, non possono essere dei lasciapassare assoluti per comportamenti poco inclini alla correttezza. Il tifo non è questo. Il tifo, per noi milanisti, deve essere prima di ogni cosa appartenenza, orgoglio assoluto e cieca fede nei nostri valori.

Si usa dire spesso che le squadre sono fatte di giocatori. Alcuni bravi, altri meno. Non credo che questa sia una verità; penso che sia solo una parte di essa e nemmeno quella principale, perchè una squadra è fatta soprattutto di valori, di anima, di emozioni. In una parola di spirito. I giocatori sono senza dubbio elementi importanti (per valori tecnici e per la veste funzionale che ricoprono) per una società, ma sono una parte successiva che può venire soltanto dopo l’essenza valoriale di un club. Ecco se c'è qualcosa che il Milan, come ambiente, ha un po' perso in questa fase storica particolarmente travagliata, è proprio quel marcato e inconfondibile spirito rossonero che, invece, ha sempre accompagnato il club nel corso della sua esistenza.

Proprio adesso tuttavia, il Milan ha bisogno di ritrovare questo spirito rossonero che ha sempre permeato in maniera cristallina e vera tutto l'ambiente milanista, dal presidente fino al tifoso più lontano d'Europa. Si tratta di uno spirito antico che nasce col Milan e che del Milan è uno degli emblemi. Sentirsi parte di qualcosa era una nostra caratteristica che veniva prima di una vittoria, di un trofeo, di una coppa alzata al cielo. Era la nostra forza che nasceva da un sentimento chiamato appartenenza ed i giocatori che avevano la fortuna di indossare la maglia rossonera questo spirito lo coglievano e ne restavano folgorati. Non stiamo parlando di chi ha vestito la maglia del Milan durante la grande ed importante era berlusconiana in cui si è vinto e rivinto di tutto. Ci riferiamo semmai a chi ha indossato la maglia del Milan prima, quando i tempi erano grigi ed il futuro era incerto.

Ascoltare molti di loro parlare del Milan, a distanza di decenni, ti dà l'esatta dimensione di cos'è questo club, di un senso della storia che non possiamo perdere e che anzi abbiamo il dovere di ritrovare e di tenerci stretto. Lo spirito rossonero prescinde dalle vittorie e dai giocatori che indossano la nostra maglia; è qualcosa di molto profondo che non può venire vilipeso da un hashtag ineducato contro un allenatore, da una polemica vuota per fatti non veri, da un giocatore crocifisso perchè non sufficientemente bravo. Il Milan, vincente o decadente, deve essere sempre qualcosa di diverso da tutto questo.

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