AVEVA SOLO LE MANI IN TASCA

Gennaio 1977, l’Italia che spara: la morte di Luciano Re Cecconi “Ma io scherzavo”

Redazione DDD

Una vicenda giudiziaria su cui nessuno ha mai fatto ricorso. Ma è vero che avevano finto una rapina? Libri e racconti, usciti molti anni dopo, sembrano escluderlo.

di Luigi Furini -

"Parte un colpo di pistola. E lui, colpito al petto, ha solo il tempo di dire: “Ma io scherzavo”. Poi non parlerà più. Morirà qualche ora dopo all’ospedale. Questi, in estrema sintesi, gli ultimi minuti di vita di Luciano Re Cecconi, centrocampista della Lazio, lombardo di Nerviano (era nato nel 1948) e morto a Roma il 18 gennaio 1977. Articoli di giornali, libri, inchieste e processi non hanno mai fatto piena luce su quanto accaduto. Re Cecconi era un bravo giocatore. Cecco, per gli amici arriva dalla Pro Patria al Foggia di Tommaso Maestrelli che, subito dopo, lo vuole con lui alla Lazio. E con i biancocelesti vince lo scudetto 1973-74. Cecco era anche simpatico, quando gli chiedevano notizie sul suo cognome, in effetti un po’ strano, lui andava  indietro nella storia. Siamo a metà ‘800, il re Vittorio Emanuele II passa per Busto Arsizio e Nerviano. E’ ben accolto, gradisce la cucina e l’accoglienza ricevuta. E allora regala il “Re” da anteporre ai cognomi di chi lo aveva accolto. Ecco perché Re Cecconi, Re David, ecc… Che poi, il padre di Luciano era un umile muratore e lui, prima di arrivare alle Pro Patria, ha fatto l’aiutante in una carrozzeria.

"Le buone  prestazioni nella Lazio lo portano anche in Nazionale, prima nell’Under 23 e poi ai Mondiali di Germania nel 1974. Ma sono anni difficili, per la Lazio e per l’Italia. La squadra è divisa in due, ci sono risse negli spogliatori, molti giocatori girano armati. Un gruppo è vicino all’estrema destra romana (c’è chi parla addirittura di possibili legami con la criminalità). A tenere insieme l’ambiente è Maestrelli, l‘allenatore, che però muore di cancro nel dicembre 1976. Non sta meglio l’Italia, dove ci sono sequestri di persona, azioni delle Brigate Rosse (è del 1978 il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro) e tante, tante rapine, soprattutto nelle gioiellerie. E Re Cecconi? La sera del 18 gennaio 1977, finito l’allenamento, con il compagno di squadra Pietro Ghedin e un amico profumiere, entra nella gioielleria di Bruno Tabocchini, in via Nitti. Re Cecconi ha il bavero alzato del cappotto. L’orefice pensa a una rapina, toglie dal cassetto la sua Walther calibro 7,65 e spara un colpo. Cecco è colpito al petto. Portato in ospedale, morirà di lì a un’ora.

"Lo sparatore viene arrestato.  Dopo 18 giorni viene processato e assolto “per aver sparato per legittima difesa putativa”. La vicenda giudiziaria finisce lì. Nessuno farà ricorso contro quella sentenza. Ma la verità? E’ vero che i tre, entrati nel negozio, hanno finto una rapina? Libri e racconti, usciti molti anni dopo, sembrano escluderlo. Di sicuro c’è che Pietro Ghedin ha le mani ben in vista, mentre Re Cecconi le tiene in tasca. E forse l’orefice pensa che sia armato. Altre versioni contestano la pista dello scherzo finito male. Chi non ha mai voluto parlare della vicenda, ma proprio mai, è Pietro Ghedin, poi diventato collaboratore di Maldini, Zoff e Trapattoni in Nazionale. In Tribunale si era limitato a dire che nessuno dei tre, una volta entrati in negozio, aveva pronunciato una sola parola. Ma nel 1977, in Italia, si poteva morire così. Per un colpo al petto, perché entrato in oreficeria con le mani in tasca.