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IL FUORICLASSE DALLA PALLA

Omar Sivori al portiere del Padova “Il rigore lo tiro a sinistra”: e segnò calciando a destra…

13th June 1962:  Omar Sivori (of Italy and Argentina) leaping over Elsener (of Switzerland) during a World Cup match between Italy and Switzerland.  (Photo by Keystone/Getty Images)

El Cabezon, un mito. Per l'avvocato Agnelli un vizio. Per il portiere Pin un affronto...

Redazione DDD

di Luigi Furini -

L’avversario, prima di vederlo, lui lo sentiva. Perché? "Perché si giocava anche quando faceva buio, allora non c’erano le strade illuminate". Ha cominciato con i palloni di pezza, ma poi, con il pallone vero, ha fatto quattro giri di campo, di corsa, senza farlo cadere. Omar Sivori era fatto così, prendere o lasciare. La Juve l’ha preso, nel 1957, battendo la concorrenza dell’Inter. E Sivori, “el Cabezon”, gli ha portato tre scudetti, con 170 reti in 257 partite giocate. Era un tipo un po’ particolare, da prendere con le pinze, se è vero che ha stabilito anche il record di giornate di squalifica, ben 33. E ha litigato con tanti difensori e qualche portiere. Memorabile quanto avvenuto in un Padova-Juventus. Sul finire della gara, i bianconeri vincono 3-0 e si vedono assegnare un calcio di rigore, che non incide, ovviamente sull’esito dell’incontro. Va sul dischetto Sivori e, vedendo la disperazione del portiere veneto, Antonio Pin, gli dice: “Tranquillo, te lo tiro sulla sinistra”. Pin si butta sulla sinistra ma Sivori cosa fa? Mette la palla dall’altra parte. Finisce 4-0, con Pin che insegue Sivori per tutto lo stadio (e Pin, a distanza di anni, ha continuato a odiare Sivori).

 (Photo by Keystone/Getty Images)

(Photo by Keystone/Getty Images)

Erano altri anni, un altro calcio. Sivori nasce nel 1935, in un centro a 200 chilometri da Buenos Aires. Cresce nel River Plate, gioca anche in Nazionale, ma nel 1957 Gianni Agnelli vuole fare una grande Juve. Lo paga 180 milioni di lire per affiancarlo a Charles e Boniperti. I tre fanno faville. Nel 1960 Sivori è capocannoniere, nel ’61 vince il Pallone d’oro. Nel 1965, però, alla Juve c’è in panchina Heriberto Herrera, chiamato anche HH2, per non confonderlo con HH (Helenio Herrera, allenatore dell’Inter). HH2 è per il “movimiento”, tutti i giocatori devono partecipare alla manovra. E Sivori, assolutamente non adatto al gioco di squadra, fa la valigia per andare al Napoli (il presidente Achille Lauro, paga 70 milioni e compra dalla Fiat i motori marini per le sue navi). A Napoli c’è già Altafini e i due fanno buoni risultati.

Finché, a novembre 1968, arriva al San Paolo la Juve. Heriberto e Sivori hanno conti da saldare. HH2 mette il roccioso Favalli a provocare Sivori e l’oriundo argentino reagisce. Nasce una rissa, Sivori è espulso e si prende 6 giornate di squalifica. E’ ora di smettere. A 33 anni, il suo mentore, Renato Cesarini (quello famoso dei gol negli ultimi minuti), lo stesso che lo aveva spinto alla Juve, adesso lo rivuole al River. Sivori torna ma capisce di non avere più voglia. Diventa allenatore della Nazionale argentina e rimane celebre questa mossa: dovendo giocare due partite ravvicinate, una a livello del mare e l’altra a La Paz, a 3.600 metri di quota, mette in piedi due nazionali diverse. La prima, con i titolari, al suoi ordini a Buenos Aires. La seconda, allenata dal suo vice, chiamata “nazionale da montagna”, mandata ad acclimatarsi sulle Ande. Però l’avventura da Ct dura poco.  Torma in Italia, diventa commentatore televisivo, fa pace con la società bianconera (resta in ottimi rapporti con Roberto Bettega). Poi ancora in Argentina, a San Nicolas de Los Arroyos. Chiama la sua casa “Juventus”. Muore per un tumore nel 2005. “Sivori è come un vizio. Sai che alla lunga non ti farà bene, ma non puoi farne a meno”. Sono le parole di Agnelli, che l’aveva visto fare il quattro giri di campo, senza fare cadere la palla. Naturalmente tutto di sinistro.

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