editoriali

Berlino e i muri che cadono: lo Sport gioca sempre in casa, la Storia non si ferma mai

Redazione DDD

Sport: i muri che cadono

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

Trent’anni fa cadeva il muro di Berlino. Edificato nel 1961, diventò il simbolo delle guerra fredda, Ovest contro Est, Usa contro Urss, fino all’ora dei martelli e degli scalpelli: 9 novembre 1989. Ecco: quali sono stati i «muri di Berlino» che hanno segnato e cambiato lo sport?

Nel calcio, al filone tecnologico - goal line, Var - che pure l’ha investito e lo sta portando lontano, forse persin troppo, antepongo la sentenza Bosman del 15 dicembre 1995. Sin lì, comandavano le società. Da quel giorno, e dal quel verdetto della corte di Lussemburgo, il mondo si capovolse. La libera circolazione in ambito europeo (ed «extra», salvo paletti sempre meno rigidi) portò al mercato aperto, ai procuratori squali, a differenze sempre più marcate fra ricchi e poveri.

In chiave volley, Roberto Condio non ha dubbi: «L'introduzione del "libero" dopo il Mondiale del 1998, l'ultimo dei tre consecutivi vinti dall'Italia. Ha allargato ai "piccoletti" la possibilità di giocare ad alti livelli, ha alzato lo standard delle difese aumentando la durata delle azioni, ha dimezzato il tempo passato in campo dai centrali. Di fatto, ha rivoluzionato il volley. Più ancora del "rally point system" (ogni azione un punto)».

Se tralasciamo lo tsunami del tiro da tre punti, il basket, secondo Oscar Eleni, si rivolta (e rivolta l’ordine costituito) con la fine della segregazione razziale - barriera profonda, barriera torva - che già il baseball aveva demolito con l’avvento di Jackie Robinson, primo giocatore di colore a libro paga fra i prof (Brooklyn Dodgers, 1947). Nata bianca, la pallacanestro provò a resistere ma il mondo, la giustizia, tutto stava andando in un’altra direzione: quella di Don Barksdale, la breccia nera che gli Stati Uniti aprirono all’Olimpiade di Londra, nel 1948.

Sono tanti i muri dell’atletica che potremmo citare. Fabio Monti ha scelto quello che James Ray Hines abbatté il 20 giugno 1968 a Sacramento, primo uomo a scendere sotto i 10" netti nei 100 metri: I tre cronometristi segnalarono 9"8, 9"9, 10" netti, mentre il quarto (di riserva) prese 9"8, addirittura. Non pago, il 14 ottobre 1968 a Città del Messico, Hines vinse l’oro olimpico, a 2.240 metri di altezza e su pista in tartan: 9"95 con cronometraggio automatico, il primo meno 10" non manuale. Nel tennis, in compenso, Stefano Semeraro cita il primo torneo Open che ebbe luogo a Bournemouth, nel 1968, anno che diffuse l’ansia rivoluzionaria persino tra i gesti bianchi.

Eravamo partiti da Berlino. La storia non si ferma mai.