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“Bombardamento a Milano, morto Silvio Piola”: ma lui, saputa la “notizia”, si fa una risata e firma per la Juve

Piola, goleador senza scudetti

Redazione DDD

di Luigi Furini -

“Il Torino e le altre squadre possono dimenticarsi di tesserare Silvio Piola”. E dire che il Toro aveva già fatto firmare un pre contratto all’attaccante della Pro Vercelli (le altre interessate erano il Napoli e l’Ambrosiana Inter). E’ l’estate del 1934 e il consiglio, ma si potrebbe dire l’ordine, arriva niente meno che da Marinelli, tesoriere del Partito Nazionale Fascista. Non solo, ma si decide, di punto in bianco, di trasferire Piola, in servizio militare a Courgnè, vicino a Torino, in un ufficio del ministero degli Esteri, a Roma. Dunque non ci sono più discussioni. Così vuole Mussolini, perché questo aiuterà a far grande la capitale (e perché il Duce è anche tifoso della Lazio). Piola è già un campione. Nasce a Robbio, nel 1913, tira i primi calci nella Pro Vercelli (a sedici anni è titolare) ed è il terrore di tutte le difese. Sa tirare di destro, di sinistro, è forte di testa ed è formidabile nella rovesciata. Irresistibile nella corsa, smentisce quanti lo vorrebbero sulla linea mediana. Infatti è ancora suo il record di 290 gol segnati in serie A (compreso il campionato in Divisione Nazionale 1945-46). Ed è tuttora il miglior cannoniere di tre squadre: Lazio, Pro Vercelli e Novara.

Lo stadio Silvio Piola di Vercelli nella foto di Magicapro.it

La concorrenza in serie A è forte, la Juve schiera Felice Borel (detto “Farfallino”) e l’Inter Giuseppe Meazza. Per questo Piola non è convocato ai Mondiali 1934. E’ l’anno, abbiamo detto, del suo passaggio alla Lazio. Debutta contro il Livorno (6-1 per i biancocelesti) e segna gol a raffica, ma la squadra non sfonda. Arrivano in suo aiuto alcuni brasiliani, giocatori dall’Alessandria e dal Vicenza, ma la squadra resta a metà classifica. Nel 1935 è comunque convocato in Nazionale. Gli azzurri sono in ritiro a Rovigo, in attesa di una trasferta a Vienna. Si fa male Meazza e Pozzo cerca Piola. Che non si trova. E’ andato a caccia,  (sua grande passione) e solo all’ultimo viene rintracciato. A Vienna, con due gol, diventa un eroe e titolare fisso in Nazionale. Resta a Roma fino alla terribile estate del ’43. Mussolini ripara a Salò, infuria la guerra, l’Italia è divisa in due. Chiede e ottiene di tornare a casa e viene tesserato dal Torino Fiat (ma nel 1944 il campionato, a sorpresa, va ai Vigili del Fuoco di La Spezia).

Nel gennaio 1945, a Roma, si diffonde la notizia della sua morte. “Vittima - scrive qualche giornale – di un bombardamento a Milano”. Si celebrano messe in suffragio, qualcuno organizza sedute spiritiche (il medium, per la verità, dirà che il giocatore è ancora vivo). Saputa la notizia, Piola si fa una risata e firma per la Juve. Nel 1947 è ritenuto “in declino” e ceduto al Novara, in serie B. Con i suoi gol, la squadra torna in A e lui ci gioca per altre sei stagioni. La sua ultima rete, nel febbraio 1954 contro il Milan. Dice Liedholm: “Aveva sempre addosso due difensori, ma non bastavano”. Silvio Piola, dopo qualche anno da allenatore, muore nel 1996. Gli stadi Novara e Vercelli sono intitolati a lui. “Avrei tanto desiderato vincere uno scudetto”, dice agli amici più cari. Con 290 reti segnate, lo meritava senz’altro. Ma così ha voluto la politica. E il destino.

 

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