REPORT CALCIO 2022

Calcio italiano, il crollo dei ricavi e la crisi di un Paese

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I nuovi stadi devono interessare il Sistema Paese

Redazione DDD

analisi di Giovanni Capuano per Panorama.it -

Uno tsunami i cui effetti non hanno ancora finito di farsi sentire. Il Covid è stato per il calcio italiano la tempesta perfetta, travolgendo un sistema già ammalato e con una debolezza strutturale endemica e appesantendo oltre il livello di guardia i conti di tutti, con in testa una Serie A in cui il concetto di sostenibilità è oggi così lontano da far agitare come un fantasma le nuove regole Uefa che nei prossimi anni ridisegneranno gli scenari europei col rischio di rendere definitivo il gap che ci separa dalla Premier League e dalle altre locomotive del Vecchio Continente.

CRISI CALCIO ITALIANO

La fotografia che emerge dal Report Calcio 2022, prezioso strumento con cui la Figc analizza numeri e prospettive di tutto il movimento, sono impietosi ma ce n’è uno che più di tutti rende l’idea della nottata senza fine in cui il nostro pallone si è infilato nell’inverno del 2020, colto di sorpresa dalla pandemia, senza fondamenta solide cui aggrapparsi. La perdita aggregata tra il 2019 e il 2021, certificata dai bilanci dei club di Serie A, B e C (ma la quasi totalità è in capo alle big del campionato maggiore) ha sfondato quota 2,2 miliardi di euro. Il pallone tricolore è un carrozzone che brucia 3.013.698 euro al giorno, triplicando la sua necessità di cassa rispetto al decennio precedente, quello in cui si è fallito l’obiettivo di metterlo in sicurezza innescando un circuito virtuoso. Dal 2007 al 2019 la perdita complessiva era stata di 4,1 miliardi (un milione al giorno), numeri da allarme rosso che il Covid ha reso definitivamente drammatici. Per restare in piedi, chi ha potuto è ricorso a massicce immissioni di denaro in cassa: il caso Juventus, 700 milioni di aumento di capitale in due anni e mezzo, è quello più eclatante ma non l’unico. E chi non ha potuto si è indebitato: a livello finanziario l’indebitamento è cresciuto di 600 milioni in una sola stagione, arrivando ben oltre la soglia d’allarme: 5,4 miliardi di euro al 30 giugno 2021, una montagna che schiaccia ogni possibile progetto di rilancio economico.

SENZA SPETTATORI MA CON STIPENDI PAGATI FINO ALL’ULTIMO CENT

La colpa? Certamente del crollo dei ricavi il cui simbolo sono gli incassi da stadio, praticamente spariti fino alla riapertura degli ultimi mesi che ha solo parzialmente limitato i danni. In due anni il calcio professionistico italiano ha perso 23,1 milioni di potenziali spettatori bruciando 513 milioni di fatturato. Sponsor e il taglio delle altre voci (diritti tv Uefa, partnership, tournée) hanno fatto il resto anche perché nello stesso arco di tempo il costo del lavoro medio non è calato ma aumentato: +7,9% (2,231 miliardi di euro). I calciatori non hanno rinunciato a nulla di quanto dovuto, unica categoria lavorativa al mondo per la quale il Covid non è esistito. Anzi. E ad appesantire i bilanci ha contribuito in maniera decisiva anche il peso degli impegni presi precedentemente sul mercato: +24,5% alla voce ammortamenti e svalutazioni, una tassa da quasi 1,2 miliardi nel biennio. Molto dovuto alla leggerezza con cui si è speso prima, ma anche la miopia di larga parte del movimento ha fatto la sua parte.

QUANTO PESA IL CALCIO SUL PIL ITALIANO

La crisi non è un problema solo per club e tifosi, ma dovrebbe interessare anche il Sistema Paese che dai professionisti (oltre il 90% dalla sola Serie A) ha ricevuto negli ultimi 14 anni 15,5 miliardi di euro in tasse e contributi di cui 1,5 nel 2019, il 70% del gettito fiscale generato dall’intero sport italiano giusto per chiarire quali siano i rapporti di forza all’interno di un mondo in cui spesso il pallone è percepito come una sorta di eden abitato da ricchi scemi e viziati, non come un comparto economico con impatto diretto e indiretto sul PIL da 10,2 miliardi di euro e 112.000 posti di lavoro attivati. Per ogni euro (pochi) investito sul calcio il Governo ne ha riavuti in termini fiscali e previdenziali 18,3, eppure quando si è trattato di aiutare con i ristori, come per molti altri settori, la disponibilità non c’è stata. Eppure, il pallone resta con distacco il maggior interesse degli italiani: nel 2021 il 55% degli over 18 si dichiarava interessata (48% media europea) doppiando i numeri del tennis. Attenzione, però: il Covid è stato come una livella sulla passione dei tifosi e non solo perché li ha tenuti lontani dagli stadi e dai palazzetti: tra il 2019 e il 2021 la percentuale degli appassionati ha fatto registrare un calo drastico dal 64% al 55%, con in mezzo un Europeo vinto e un’estate che aveva riportato la gente per le strade a festeggiare una grande vittoria della nazionale. Preoccupante.

LA FUGA DEI RAGAZZI DALLE SCUOLE CALCIO

L’altro aspetto da non sottovalutare è la dispersione di intere generazioni di giovani calciatori. Nel post Covid sono andati persi quasi il 30% dei tesserati nel Settore Giovanile e Scolastico, le leve del futuro, il grande bacino da cui attingere per formare i campioni di domani. Una diminuzione di circa 200.000 ragazzini i cui effetti si sentiranno col passare del tempo mentre a livello generale l’ultima stagione ha riportato il totale dei tesserati Figc ai livelli prima della pandemia, riassorbendo gli effetti di un blocco dell’attività che ha cancellato per un’intera stagione campionati e competizioni. "I numeri confermano la necessità di avviare un programma di sviluppo sostenibile che parta dalla responsabilità e dalla credibilità; l'urgenza non più rinviabile riguarda la messa in sicurezza del calcio professionistico sotto il punto di vista economico-finanziario, poi servono investimenti nel settore giovanile e nelle infrastrutture" il commento del presidente della Figc, Gabriele Gravina: "Il report suona come un monito perché alla situazione strutturalmente critica prima del Covid si è aggiunta la carenza di liquidità generata dalla pandemia. Non possiamo più rinviare una presa d'atto collettiva su dati onestamente impietosi, dobbiamo lavorare per un risanamento generale e una diversa gestione dei nostri club".

LA SFIDA PERSA DEI NUOVI STADI

L’Italia sogna di ospitare l’Europeo del 2032 dopo il passo indietro sulla candidatura per il 2028. Senza nuovi stadi sarà difficile convincere l’Uefa della bontà del nostro dossier anche perché il resto del mondo corre e non sta a guardare come il nostro, strangolato da burocrazia e veti incrociati. Negli ultimi 15 anni in Europa (2007-2021) sono stati realizzati 187 nuovi impianti con investimenti per 21,7 miliardi di euro; l’Italia ha intercettato un misero 1% di questo tesoretto e le strutture rifatte (Juventus, Udinese, Frosinone, Albinoleffe e Sudtirol) rappresentano una goccia nel mare. Le tortuose vicende del nuovo San Siro, l’addio di Pallotta al progetto Tor di Valle e le scelte del Comune di Firenze per il Franchi, che sarà ristrutturato con i soldi dei contribuenti anche se Commisso voleva fare da solo, non lasciano sperare per il futuro. Ad oggi sono 12 i progetti in fase di pianificazione o realizzazione, cui si aggiunge quello recentemente annunciato dalla Roma per l’area Pietralata nella Capitale. Se finalizzati, scrive il Report Calcio della Figc, porterebbero investimenti per 1,9 miliardi di euro nelle sole strutture, creerebbero 10.000 posti di lavoro e a regime produrrebbero un impatto positivo da 176 milioni a stagione sui ricavi da stadio delle rispettive società. Interessa a qualcuno?

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