Sul 3-0, con il Bologna dominante e Madama a reggergli lo strascico, avevo pensato a questo titolo: «Calafiori e calabrache». Per l’avvio ventre a terra del dottor Balanzone; per il gol del difensore e il raddoppio di Castro nel giro di 10’, suggellati, in avvio di ripresa, dallo scavetto di Riccardo cuor di leone, un terzino sparato al centro della difesa. E per il cosiddetto contesto: calcio contro calci; pressing contro cipria. Una sola squadra al comando e l’altra sazia (zona Champions, Coppa Italia), stordita, inguardabile.
BOLOGNA-JUVENTUS 3-3
Caro amico mi arrendo…
Era la prima di un dopo
Da una parte, il celofuturista Thiago Motta, di trasloco (così dicono). Dall’altra, il celodurista Montero, di traghetto. Con Giuntoli e la sua Camelot, in tribuna, per nulla allegri. Ma allora perché 3-3?
Perché il calcio è pazzo, luogo comune (forse). Perché Thiago ha tolto i migliori (da Calaccetera a Freuler) e Paolo il caldo i peggiori (fra i quali Vlahovic, l’eroe dell’Olimpico). Perché la Dotta, priva di Ferguson e Zirkzee, non poteva immaginare che; e la Vecchia bene immaginava cosa. Fatto sta che, sotto la pioggia del Dall’Ara, Chiesa profittava di un errore di Lucumi – così come, in precedenza, i sodali del colombiano avevano banchettato sulle altrui licenze e indecenze – e infilava di sinistro; Milik segnava su punizione, complice la schiena di Fabbian; Yildiz, assatanato, stangava di destro. Il tutto, in otto minuti, dal 76’ all’84’. E ancora Chiesa, quasi quasi…E una notte che si accomoda in archivio sull’onda di episodi ed emozioni che l’hanno stravolta. Caro amico mi arrendo.
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