SENZA LA TESTA GIUSTA...

Cassanate quotidiane

BOBO TV E SPARATE
Il talento non porta da nessuna parte senza sacrificio, abnegazione e spirito di gruppo

Redazione DDD

di Max Bambara -

Talentuoso, irriverente, anticonformista, sgradevole nei toni e nel modo di porsi. L’Antonio Cassano opinionista non pare troppo diverso dal Cassano calciatore. Chi ha avuto la possibilità di seguirlo in questi mesi sulla Bobo TV ha potuto accorgersi che Cassano non ama la diplomazia, non usa troppi panegirici per esprimere un’opinione ma ha delle idee e delle visioni di calcio molto forti e profondamente radicate in lui.

Un problema di non poco conto

Quando giocava a pallone Cassano credeva che il suo talento (che Madre Natura gli aveva donato in abbondanza) fosse un lasciapassare assoluto che gli consentiva qualsiasi follia, qualsiasi comportamento. Adesso che gioca a fare il commentatore dei fatti calcistici, Cassano ha sostituito il totem del suo talento con il totem delle sue idee che, in riferimento al calcio, sono assolute ed assolutiste. Per Cassano la qualità pura dei giocatori viene prima di tutto. Parla in termini entusiastici di Lionel Messi, di Ronaldo il Fenomeno, di Ibrahimovic, di Maradona. Tende a ridimensionare tutti gli altri, a non considerarli, quasi a schernirli. Nei mesi i suoi giudizi lapidari hanno colpito prima Immobile, poi Cristiano Ronaldo, infine Pippo Inzaghi, per non citare anche tutta la squadra del Napoli 1986-87 che il prode Antonio ha definito una squadra di “scappati di casa”.

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Emblematica in tal senso la risposta datagli da Ciro Ferrara, un signore del calcio che quasi mai si permette di rimproverare i colleghi, ma che in questa occasione non ha potuto rimanere in silenzio, essendo uno dei leader di quello spogliatoio. “Ciao Antonio, parli di cose che evidentemente non conosci bene, in una lingua che padroneggi ancora meno. Il 10 maggio 1987, mentre noi vincevamo il primo scudetto della storia del Napoli, tu non avevi ancora compiuto 5 anni e prendevi il biberon. Taci, che è meglio. Diego non avrebbe mai voluto nel suo spogliatoio un “fenomeno” come te. Firmato: nu scappat ‘e casa”. L’ex difensore di Napoli e Juventus ha ragione da vendere perché Maradona, che era davvero un numero uno, sapeva far sentire importante anche l’ultimo giocatore della rosa e mai si sarebbe permesso di etichettare come “scappato di casa” un compagno o un avversario. Sapeva di essere il migliore ma questo non gli ha mai fornito l’assist per denigrare i colleghi che, a differenza sua, non erano stati baciati dal talento.

Spiace rilevare come una persona come Antonio Cassano che sa parlare di calcio con grande competenza non sia ancora maturato rispetto alle asperità umorali della sua carriera da calciatore. Non riesce a comprendere che il “suo gusto personale”, assolutamente legittimo, non è per forza di cose una sentenza della Cassazione inappellabile; è, appunto, soltanto un parere. Ma, soprattutto, Antonio non riesce a capire che nel calcio il talento non è tutto. E senza la testa giusta, il sacrificio, l’abnegazione e lo spirito di gruppo, il talento rischia di rimanere fine a sé stesso, inutilmente autoreferenziale. Invece di offendere un campione come Inzaghi (“giocava alla carlona”) che, pur non dotato di talento, ha segnato centinaia di gol e vinto titoli importantissimi, Antonio farebbe bene a farsi la domanda inversa? Come mai pur avendo più talento di Inzaghi ho fatto una carriera che vale un decimo della sua? In quella risposta c’è tutta l’essenza dello spreco del suo talento.

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