LIVERPOOL E INTER KO

Champions, Napoli padrone: l’Inter decisamente no…

NAPOLI IN INTER OUT
Lazio, Milan, Bayern: le grandi, all’Inter, non vanno proprio giù.

Redazione DDD

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

Il Napoli appende il Liverpool al muro della sua storia. E’ la fase a gironi e non sarà sempre così, d’accordo. Ma al Maradona è andata così. Pronti-via, avanti tutti, palo di Osimhen, poi rigore di Zielinski (braccio di Milner), altro penalty (Van Dijk) che lo stesso Osimhen si fa parare da Alisson. Mica è finita. Gomez continua a combinarne di tutti i colori, raddoppia Anguissa dopo triangolo con Zielinski, esce Osi ed entra Simeone, smarcato da Kvaratskhelia (che si era bevuto Gomez, ma va?): tre pere in 44’ (più una «parata» di Van Dijk sul georgiano, a porta vuota). Tu chiamale, se vuoi, erezioni. Alla ripresa, ancora Zielinski, di scavetto, e Luis Diaz a giro.

Certe notti

Ci sono notti in cui gli attimi non finiscono mai e restano magici, anche quando la palla la recuperano gli avversari. Spalletti dispone di uno scultore (Anguissa, sarà il migliore) e di un pittore (Kvara) nascosto tra i lazzi e i vezzi estivi di noi uomini di poca fede. Klopp cerca di scuotere una squadra depressa, dalla pancia piena e il ruttino facile. Firmino latita, Salah non trova varchi, il centrocampo, rabberciato, pompa poco e male, Alexander-Arnold e Robertson, attesi al varco con ferocia, sono fionde ridotte a cianfrusaglia. Luis Diaz, ecco: sarà l’ultimo ad arrendersi. L’avvio-sprint permette al Napoli (anche di Kim e Olivera, di Lobotka e Di Lorenzo, ma pure di Meret e Politano: di tutti) di ritrarsi senza ritirarsi. Infastidito dal solletico dei rivali, agita per rappresaglia un’arma che la profondità di Osimhen e i pennelli di Kvara rendono letale. Il contropiede. Il primo a sapere che già in Premier i Reds non se la passavano bene, era Spalletti: anche per questo, o proprio questo (tutti ventre a terra e arroganza zero), è saltata fuori questa polveriera di partita. A volte, il titolo più calzante e graffiante resta «banalmente» il risultato: Napoli quattro, Liverpool uno.

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A San Siro, il Bayern polverizza l’Inter. Giocano, i tedeschi, a una velocità che nei nostri cortili reggono pochi. E poi il pressing: come dei borseggiatori seriali, sempre. Inzaghi l’aveva rivoltata, l’Inter. Cinque cambi, addirittura, compresi Barella e il portiere (da Handanovic a Onana, belle parate ma pure una «schiocchezzuolona»). E così, invece, di ritrovarla l’ha persa di nuovo. Domanda sulla rivoluzione: era proprio il caso di farla in Champions? A maggior ragione senza Lukaku, il totem della tribù. Nel derby, se non altro, ci si aggrappò alla sparatoria dell’ultimo quarto d’ora: contro i tarantolati di Negelsmann, nemmeno agli spiccioli. Migliore in campo, Sané. Ha firmato il gol rompi-ghiaccio, un gol da ballerino, dettando il lancio a Kimmich) e propiziato l’autorete di D’Ambrosio. Attorno, il De Ligt che si è mangiato Dzeko, Davies che ha ridotto Dumfries a un normale terrestre, lui che da noi sembra Nembo Kid, e gli slalom di Coman. Una lezione.

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