analisi Facebook di Roberto Beccantini -
IL PORTIERE DI SABA
Ci sono anch’io, Livakovic, il portiere…
Diario mondiale, quindicesima puntata. Mi ritorni in mente, freddo come sei. Nella finale di Coppa dei Campioni del 1986, Helmut Ducadam li parò tutti, quattro su quattro, e così la Steaua, «ferma» a due, prevalse comunque sul Barcellona dopo lo 0-0 di Siviglia. Dominik Livakovic, più casto, ne neutralizza tre su quattro, e dal momento che i colleghi - Vlasic, Brozovic, Pasalic - tre su quattro li realizzano, ai quarti va la Croazia.
Lotteria o no, i rigori restano un viaggio freudiano nel sistema nervoso dell’uomo
Al 120’, quando le gambe sono tronchi e il fiato corto, subentrano e decidono la mira, i nervi, i riflessi, tante cose, non solo lo sghignazzare degli dei annoiati.
Livakovic diventa, così, il piccolo, grande eroe di una partita che le reti di Maeda, in mischia, e di Perisic, di testa, avevano consegnato a un 1-1 di basso livello: meglio il Giappone in avvio, un po’ meglio la Croazia alla distanza. Il ct Dalic, a un certo punto, aveva tolto sia Modric sia Perisic, uno dei più carichi. Pensavo a un errore prospettico, in vista dei penalty. Il destino aveva altri disegni. I calcoli e la paura, che sempre s’intrufolano nel pancione delle sfide secche, hanno scortato le squadre ai supplementari, e da lì alla sparatoria dal dischetto. Livaja colpiva il palo, dei samurai segnava solo Asano; non Minamino, neppure Mitoma e manco Yoshida. «Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi», ammoniva Brecht. Vero. Talvolta, però, sono utili. E allora teniamoci il portiere di Saba, rovesciandone il sentimento e la morale: «Della festa - egli dice - anch’io son parte». E pazienza se ai nippo erano venuti gli alluci molli.
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