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editoriali

Ciao Anastasi, centravanti vero

1973:  The Italian football team who qualified for the 1974 World Cup after beating Switzerland. Back row, left to right: R Benetti, D Spinosi, Gianni Rivera, Dino Zoff, G Morini, Luigi Riva. Front row: Fabio Capello, Giacinto Facchetti, Pietro Anastasi, Sandro Mazzola, T Burgnich.  (Photo by Keystone/Getty Images)

La scomparsa a 71 anni di Pietro Anastasi

Redazione DDD

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

Si spera sempre, anche quando il silenzio fa pensare, e temere, più del rumore. Pietro Anastasi se n’è andato a 71 anni, era nato a Catania, la Catania di Massimino, di un altro secolo, di un altro calcio. E’ stato attaccante di razza, come si scriveva un volta, dallo scatto rapace, il tiro lampo e non tuono, gli stop a «inseguire» che, senza scalfirne la fame e la fama sotto porta, si trasformarono in una sorta di allegro marchio: di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno. Giocava nel Varese, una tripletta alla Juventus lo portò proprio a Torino quando sembrava già dell’Inter, e con l’Inter stava disputando un’amichevole. Intervenne l’Avvocato, che rifornì di compressori i frigoriferi di Giovanni Borghi, l’allora presidente del Varese. Motori e milioni: 400. Giocò, nella Juventus, dal 1968 al 1976, vinse tre scudetti, litigò con Parola, Boniperti lo girò all’Inter in cambio di Boninsegna: e la storia s’impennò. Poi Ascoli, poi Lugano. Poi la tv.

Fu campione d’Europa nel 1968, con tanto di gol nella finale-bis contro la Jugoslavia all’Olimpico. Uno scherzo in ritiro diventato incidente lo escluse, d’improvviso e proprio in extremis, dalla spedizione messicana del ‘70. I tifosi lo chiamavano «Pelé bianco». Lo cantò Vladimiro Caminiti, siciliano come Pietro, ma di Palermo. Come Causio, leccese, Anastasi era figlio di quel sud che negli anni Sessanta accompagnò il grande flusso migratorio verso Torino, verso la Fiat, verso la Juventus, in un’operazione che unì amori e rancori, difficoltà d’inserimento e senso di appartenenza. Non aveva le pupille schillaciane, Pietro, ma lo ricordava. Era un centravanti d’area, piroettava in un fazzoletto, la sua polvere da sparo era l’istinto. Lascia il vuoto dei compagni di viaggio che ci hanno regalato un sospiro, un sorriso, un’avventura.

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