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PIU' INGAGGI, PIU' RESPONSABILITA'

Conte, Pirlo, il gioco della pressione e il monte-ingaggi: non è il Milan ad avere obblighi di scudetto

Andrea Pirlo a Budapest (Photo by Laszlo Szirtesi/Getty Images)

Tocca a Conte e Pirlo prendersi i favori del pronostico, non al Milan che si trova in una fase storica diversa

Redazione DDD

di Max Bambara -

Ha torto Andrea Pirlo quando sostiene che il Milan abbia qualcosa in più della Juventus in questo campionato. O meglio, se anche così fosse, in tanti dovrebbero interrogarsi sulle cause di queste affermazioni visto che gli investimenti in ingaggi delle società non sono garanzie di rendimento, ma possono dare l’esatta dimensione e le reali ambizioni di un club. Il tentativo maldestro appare quello di togliere alla Juventus l’onere di dover vincere il decimo scudetto di fila, ma in esso c’è poco realismo e c’è, soprattutto, pochissima onestà intellettuale. Antonio Conte invece diventa una simpatica mascherina quando dinanzi alla domanda legittima di un giornalista sulla vittoria del campionato svia l’argomento dicendo che bisogna chiederlo alla dirigenza. Certe risposte potrebbe darle Stefano Pioli che, invece, in questo momento non si pone nemmeno il problema di sgravare la squadra di pressioni eccessive. I numeri degli investimenti annuali dei club in emolumenti ci danno tuttavia l’esatta dimensione del giochino dello scaricabarile della pressione a cui Pirlo e Conte hanno da tempo iniziato ad esercitarsi. Il Milan spende 90 milioni di euro lordi in emolumenti ai giocatori; è la quinta squadra del campionato nella classifica del monte-ingaggi. Viene preceduto da Roma e Napoli che spendono cifre di poco superiori (112 i giallorossi, 105 i partenopei), ma viene preceduto soprattutto da Juventus e Inter che, invece, spendono cifre nettamente più elevate. L’Inter sfiora i 150 milioni di euro di monte-ingaggi (149 per la precisione), mentre la Juventus sfonda abbondantemente il muro del 200 milioni (ne spende 236), risultando in lieve diminuzione rispetto a quanto spendeva soltanto un anno prima. I numeri insomma disegnano una differenza che, finora, sul campo non si è vista. Ma i numeri spiegano anche come il Milan non abbia nessun obbligo di lottare per la vittoria dello scudetto, perché si trova soltanto all’inizio del suo percorso di crescita. Non stiamo parlando di una squadra reduce da una o da due stagioni negative, che ha poi ripreso la normale traiettoria di corsa.

VERONA, ITALY - DECEMBER 23: Antonio Conte, head coach of Internazionale looks on during the Serie A match between Hellas Verona FC and FC Internazionale at Stadio Marcantonio Bentegodi on December 23, 2020 in Verona, Italy. Sporting stadiums around Italy remain under strict restrictions due to the Coronavirus Pandemic as Government social distancing laws prohibit fans inside venues resulting in games being played behind closed doors. (Photo by Emilio Andreoli/Getty Images)

Per questo il parallelo che tanti tifosi milanisti fanno con il Milan della stagione 1998-1999 è profondamente inappropriato. Quella squadra vinse un campionato da outsider stando in testa soltanto 4 giornate (le due iniziali e le due finali). Quella squadra però non sprigionava futuro come questa; era piena di molti vecchi pirati, reduci da tante battaglie, che sapevano come gestire i momenti complicati. Soltanto per citare i più importanti, quel Milan aveva Sebastiano Rossi, Costacurta, Maldini, Albertini, Leonardo, Boban, Weah, Bierhoff, Ganz, tutta gente con più di 30 anni, vicina alla fase finale della carriera (solo Maldini avrebbe proseguito da protagonista per altri 10 anni). Il Milan di oggi invece è una squadra che si affaccia al mondo dopo un ultimo decennio particolarmente difficile, iniziato con uno scudetto vinto, proseguito con uno scudetto perso che è stato una sorta di sliding doors della storia rossonera ed entrato poi in un cono d’ombra fatto di divisioni interne, di scarsa serenità, di cambi di proprietà tormentati, di dirigenze sportive ballerine. Oggi tuttavia il Milan ha già vinto uno scudetto in questo 2020. Non è una coccarda tricolore da apporre sulle magliette, ma è qualcosa di più alto e di maggiormente pregnante; è lo scudetto della normalità, della capacità di essere riuscito a ridarsi una dimensione, una serietà sportiva, un senso di coesione interno che si riflette sul messaggio che la squadra dà con le proprie prestazioni. I tifosi del Milan non hanno festeggiato un titolo, ma si sono riappropriati di una squadra da cui, finalmente, si sentono rappresentati, perché esprime valori tecnici ed umani in linea con la tradizione rossonera. Questa squadra lascia intravedere un grandissimo futuro, profuma di speranze, di ambizioni, di costruzione. La netta sensazione è quella di un Milan che sta mettendo basi durature, sia sul piano del progetto tecnico legato ad un sistema di gioco moderno, sia sul piano di tanti giocatori con una traiettoria di carriera destinata a raggiungere vette importanti. Il Milan si tiene questi aspetti e questi valori. Li custodisce con fierezza e con orgoglio. Sa che, qualora a marzo si trovasse ancora in una zona altissima di classifica, ci potrebbe provare con la spensieratezza e con il coraggio della sua gioventù e con la consapevolezza di non avere obblighi. Oggi però il Milan sa soprattutto che il vero obiettivo è quello di tornare a giocare nella massima competizione europea, dalla quale manca da sette anni. Troppi per tanti club, figuriamoci per chi in bacheca ha sette Champions League.

L’ossessione dello scudetto il Milan la lascia quindi a chi ha il giocatore del campionato più pagato o a chi ha l’allenatore più oneroso. In tanti non lo evidenziano, ma solo Cristiano Ronaldo, De Ligt e Dybala prendono gli stessi emolumenti che percepisce l’intera rosa milanista. Antonio Conte invece percepisce di stipendio 6 volte quello che percepisce Stefano Pioli. Analizzare questi numeri non è un esercizio antiplutocratico o d’invidia sociale; è semmai l’unico modo per dare l’esatta dimensione delle progettualità dei club. Concentrati sul presente Juventus ed Inter, con lo sguardo al futuro il Milan. A qualcuno darà fastidio leggere queste cifre, ma dinanzi alla realtà non esistono opinioni, bensì soltanto prese di coscienza che nessuna ricostruzione di parte potrà mai cancellare.

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