IL CALCIO CHE CAMBIA

Da Kakà a Tonali

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Mercato e sacrifici, un film che si ripete perché il primo ventennio berlusconiano non è ripetibile
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Redazione DDD Direttore responsabile 

di Max Bambara -

Siamo cresciuti in un mondo ovattato, quasi celestiale, per oltre 20 anni. In questo periodo il Milan, a differenza delle altre società, non cedeva i suoi giocatori per denaro. Era questo il mantra che veniva ripetuto con grande convinzione e con una puntina d’orgoglio, da Adriano Galliani, storico amministratore delegato del Milan. Dal 1986 al 2009, ovverosia per 23 anni, il Milan era un regno dorato in cui si rinnovavano contratti in bianco e si facevano gesti che, in altri lidi, non erano nemmeno pensabili. Basti pensare ai contratti che la società rinnovò ad Ambrosini e ad Inzaghi durante alcune fasi molto delicate della loro carriera. Ufficialmente entrambi erano fermi per infortunio, ma il Milan sceglieva di dargli fiducia e rinnovava i loro contratti. Quel Milan, che aveva una organizzazione capillare, da grande azienda, non derogava mai dalla politica dei sentimenti e questo portava tanti giocatori a fidelizzarsi tantissimo con la maglia rossonera. Ci furono, per la verità, due cessioni molto dolorose, ossia Gullit nel 1993 e Shevchenko nel 2006, ma si trattò di scelte personali dei giocatori che la società non si sentì di ostacolare. Nel gennaio del 2009, invece, i tifosi rossoneri dovettero prendere atto che il Milan che avevano conosciuto, vissuto e amato per 23 anni, non esisteva più. A metà mese il club scelse di ascoltare l’offerta del Manchester City per Ricardo Kakà e ciò portò ad una sorta di rivolta da parte della tifoseria.

“Il Milan vende la propria anima” – si scriveva dappertutto, allo stadio e sulle chat

Frasi, d’altronde, molto simili a quelle delle ultime ore per il caso Tonali. Kakà rimase al Milan alla fine, ma solo per pochi mesi perché a fine stagione il Milan fu comunque costretto a cederlo al Real Madrid. Fu lo squarcio definitivo al principio che il Milan poteva tenere i campioni anche di fronte ad offerte pazzesche e fuori mercato. Nel libro di Adriano Galliani, Le memorie di Adriano G., c’è un passo molto particolare in cui l’ex A.D. del Milan racconta di due offerte da capogiro ricevute per Shevchenko. La prima, nel 2001, dopo un sesto posto in campionato del Milan, da parte del Real Madrid. La seconda, nel 2004, dopo uno scudetto rossonero, da parte del Chelsea. Entrambe erano offerte a tre cifre (superiori a 100 milioni di euro) ed entrambe le offerte furono rifiutate con sdegno dal presidente Berlusconi. C’era il cuore del Cavaliere, certamente, ma c’era anche la possibilità di farlo, possibilità che qualche anno dopo non ci sarebbe più stata né per Kakà, né per Ibrahimovic e Thiago Silva.

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La cessione odierna di Sandro Tonali, che lascia tutti noi rossoneri con la sensazione di un lutto imprevisto, è in realtà la conseguenza di un calcio italiano che è ormai cambiato ed in cui, dinanzi a certe offerte, un club ha la necessità di prenderle in considerazione perché la differenza di ricavi fra il calcio italiano e il calcio inglese è abissale. Non si tratta di un giudizio di merito, ma di una constatazione oggettiva. Il Milan del primo ventennio berlusconiano è stato un unicum che, probabilmente, non vivremo più. Il calcio di oggi diventa ogni anno più veloce. Macina a ritmo forsennato partite, eventi, giocatori, momenti, bandiere e simboli. Rimane la fede, l’amore per i colori rossoneri, l’unica cosa che, per fortuna, non potrà mai mutare.

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