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A volte uno stadio racchiude tutto il mondo in un unico momento che dura novanta minuti. Un po' come i quartieri e i rioni della città: tutto il proprio mondo sta lì. Non si preclude nulla, ogni parte si incontra e si mescola. Si sente la storia della Capitale, quella antica e leggendaria, quella moderna e frenetica. La politica del Paese, l'arte e la letteratura, il cinema e la musica. Spazio anche alla religione, d'altronde è la città del Vaticano. Ma anche qualcosa di più sacro, per dirla come Pier Paolo Pasolini: il calcio. Il derby tra Lazio e Roma è questo grande rito sacro che porta con sé tutto il carattere dell'Urbs Aeterna.
Si tratta di una rivalità complessa da spiegare, perché si innesta in ogni aspetto socio-culturale della città italiana. Dai colori e i simboli, all'estrazione sociale e demografica del tifo, che porta inevitabilmente ad una contrapposizione politica tra le parti. Lazio e Roma - che si affronteranno nel derby questa domenica, 21 settembre - riescono a suscitare emozioni viscerali, tanto da meritarsi posti di rilievo nell'industria culturale e qualche attenzione ed interesse intellettuale.
Spiegare il derby tra Lazio e Roma è complicato, capirci qualcosa come sguardo esterno è ancora più difficile. Probabilmente nemmeno i tifosi delle due squadre riescono a spiegare in maniera razionale cosa significa la stracittadina capitolina. Eppure, i due club - e le due tifoserie di conseguenza - sono legati indissolubilmente alla storia della Capitale d'Italia.
I biancocelesti ripercorre forse la più nota tradizione araldica del periodo imperiale, nato nel I secolo a.C. (o meglio, nel 727 ab Urbe condita). L'aquila è la rappresentazione del potere, che discende direttamente dal padre di tutti gli dei, Giove (Zeus nel mito greco). Come il carattere dell'Impero più importante della storia antica del Vecchio Continente, nobile e fiero, la Lazio nasce proprio da un forte senso di appartenenza all'aristocrazia sportiva. Poi l'adozione dei colori che rispecchiavano quelli della Grecia, patria delle Olimpiadi. Con il tempo le aquile capitoline sono diventate un punto di riferimento per l'identità di una parte della città - inizialmente la zona nord.
L'alterità, questo forte senso identitario di una "minoranza orgogliosa e nobile", nasce proprio quando compare anche la controparte popolare. La Roma nasce proprio dal bisogno del "popolo" capitolino di avere una propria rappresentazione calcistica - anche per dire basta al predominio delle squadre del nord che si contendevano i titoli e le zone alte della classifica. Ed anche questa squadra sceglie di legarsi alla storia antica della città: i colori del giallo e del rosso, anche questi come eredità imperiale, che si riflettono nel gonfalone del Campidoglio. Ma soprattutto il simbolo che affonda nel mito della fondazione della città: la lupa capitolina che allatta i gemelli Romolo e Remo.
Questi colori e simboli sono fortemente identitari e si annidano tra i rioni della capitale. Lazio e Roma sembrano aver avuto tifoserie separate anche per l'estrazione sociale: da un lato, i biancocelesti legati agli ambienti borghesi, dall'altro i giallorossi legati a quelli popolari ed operai. Chiaramente, è impossibile tracciare una mappa definitiva, anche perché col tempo sia la città che la demografia del tifo sono cambiati. Eppure, qualche traccia di un'eredità ancestrale rimane incollata ai tifosi che la riversano al momento della stracittadina.
Un'eredità che si vive per le strade della città, ma anche tra artisti e personaggi noti. Il derby della Capitale, inoltre, è fatto anche di ironia e sfottò perenni - ed una sconfitta o una vittoria, cambia tutto il senso della settimana dopo la sfida. E chi meglio di Alberto Sordi - tifoso sfegatato della Roma - può raccontare con ironia la rivalità con la Lazio? "Chi è nato a Roma è romanista. I laziali so quelli de fori le mura che ce porteno l'ove fresche e le ricotte e quanno arriveno in città, alzano la testa e dicono: 'Guarda 'mbo' che cielo limbido'".
Questa frase, volta ad affermare l'esclusività del tifo giallorosso all'interno della città, è anche l'esempio del carattere romanista: ironico, teatrale, colorito e legato al folklore cittadino. Una differenza numerica - che però non è del tutto supportata da dati fissi - che il laziale prende e lo trasforma in motivo di orgoglio. Questa identità minoritaria è il piedistallo su cui costruire il profilo degli aquilotti. Lo spiega lo stesso Paolo Di Canio, ex-giocatore del club biancoceleste: "Essere laziale è qualcosa di speciale, diverso dalla massa. È stato l'istinto a spingermi verso i colori biancocelesti e la passione per l'aquila, un animale affascinante, regale, fiero".
Come spiegava il giornalista e voce giallorossa di Alberto Mandolesi, "Roma è la città dei derby, perché non c’è altro posto dove la vita e il calcio si confondano così tanto". Ogni stracittadina è unica a modo suo - ma la sfida tra laziali e romanisti è qualcosa che pervade ogni aspetto della vita del tifoso. Nemmeno la quotidianità della famiglia Andreotti poteva ritrattarsi da questo gioco: Giulio, presidente del Consiglio dei ministri per sette volte, tifoso giallorosso; il figlio Stefano, invece, si legò ai colori biancocelesti.
Non certo la famiglia più comune del panorama politico del periodo della prima repubblica, ma la passione per questo sport tocca chiunque. All'ex-premier democristiano gli è stata attribuita una frase piuttosto emblematica: "Ai laziali io riconosco a malapena i diritti civili".
La sfida tra biancocelesti e giallorossi è così emblematica che riesce a catturare lo sguardo di chiunque, persino di chi ha rivoluzionato e influenzato la cultura letteraria e umanista dell'Italia dal secondo dopoguerra. Anche Pier Paolo Pasolini, citato all'inizio, ha voluto dedicare qualche pensiero a questa rivalità capitolina. L'occasione per farlo è un derby Roma-Lazio del 27 ottobre 1957, finito 3 a 0 per la Magica ai danni degli aquilotti.
Un'opportunità per riflette su quello che nel dicembre del '70 Pasolini chiamerà "ultima rappresentazione sacra del nostro tempo": il calcio; più a fondo, ciò che caratterizza il tifo per una squadra calcistica. In questo editoriale concesso a L'Unità nel '57, l'intellettuale bolognese pone l'accento sui tifosi romanisti e laziali. Come si legge: "L'identificazione del tifoso con la squadra non sublima sentimenti ristretti, provinciali e municipali". Tifare Roma o Lazio significa occupare uno spazio esistenziale che ne espone principi morali e visioni del mondo. L'articolo di PPP continua, infatti: "Nella propria squadra egli non esalta glorie cittadine, meriti sportive, e altre cose noiose di questo genere: egli esalta propria 'dritteria'. E un 'dritto' è un 'dritto'".
Nel vedere questa partita allo stadio, Pasolini - tifoso bolognese - riesce a cogliere anche le facce che tradiscono le maschere sui sentimenti dei tifosi. Lo fa prima con empatia verso i tifosi "vinti", ovvero i laziali che devono ingoiare questo boccone amarissimo. Poi si concentra sui romanisti e ne traccia anche una divisione interna. La radice borghese-provinciale, così come quella degli immigrati recenti nella città, l'amore è disperatamente silenzioso - "ingoiano dolori e macinano gioie in silenzio". La "dritteria", invece, spetta al tifo popolare. "Hanno sempre la parola pronta che definisce subito l'idea e, con questa, la supera. Ciò che fa più soffrire e gioire il romano alla sconfitta e alla vittoria della sua squadra è l'idea dei discorsi che dovrà fare al bar o dal barbiere. Certo! Un 'dritto' può forse perdere? E se vince, può forse non fare dell'ironia - magnanima - sui vinti?", scrive il poeta bolognese.
La vittoria della Roma sulla Lazio di quel derby è spiegata dal titolo che Pasolini ha dato sull'articolo che è uscito il 28 ottobre 1957. L'intellettuale conclude il suo racconto parlando ancora dell'ironia che pervade il tifoso. Il "Mozzone" euforico per la vittoria dei lupacchiotti giallorossi che suggerisce così allo scrittore: "Scrivi nell'articolo che er morto puzzava, come semo usciti dallo stadio. E puzzerà tutta la settimana!".
Che poi, pensandoci bene, questo turbinio di sentimenti ed emozioni - quelli che vanno dai 90 minuti fino alla fine della settimana - alla fine sono tutto quello che c'è di bello nella vita del tifoso. Vero, Pasolini ha anche detto che "il calcio è un linguaggio con i suoi poeti e i suoi prosatori", eppure qua c'è un tipo di comunicazione che va anche oltre i poeti del campo.
Al tifoso romano, sia della Lazio che della Roma, bisogna garantire il rispetto della maglia (dei suoi colori e dei suoi simboli) e lottare per lei. Quasi ad evocare la cultura dei gladiatori e l'orgoglio dell'antichità, che la Capitale non sembra aver mai dimenticato. I suoi monumenti, la sua arte e architettura; ma anche la sua "gente", quella di oggi. Le usanze e la quotidianità che si mischia all'attesa di una rivalità che è eterna come la città.
Il carattere fiero che si scontra con quell'ironia tagliente: il derby è sempre il punto temporale che scandisce i giorni e le ore del tifoso capitolino. La città che si spacca in due tra chi si faceva guidare da Alessandro Nesta e chi, invece, si affidava a Francesco Totti. Lontani, però, da quegli anni di protagonismo nella massima serie e di bandiere, la sfida gode sempre del suo fascino (sia leggendario che folkloristico). Come si augurava l'antico poeta Orazio all'alba dell'era augustea: "O Sole fonte di vita [...] che tu non possa vedere mai nulla di più grande della città di Roma" - e, aggiungiamo, del Derby della Capitale.
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