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editoriali

Giampiero Combi, campione senza smettere di fumare: e senza ricevere la tessera ferroviaria promessa dal Duce…

Giampiero Combi e l'Italia Mondiale degli anni Trenta

Aneddoti e storia: Giampiero Combi

Redazione DDD

di Luigi Furini -

I genitori, e soprattutto suo fratello Maurizio, avevano ormai deciso: Giampiero deve andare in America. A Torino la famiglia ha una distilleria che produce liquori e un discreto vermouth. E negli Usa quelle produzioni sono vietate. Dunque, ci sono buoni affari in vista. Ma lui, Gianpiero, vuole giocare a pallone. Era stato prima ala sinistra e poi in porta. Il Torino l’ha appena scartato ma la Juventus l’ha preso, portiere di riserva, anzi  terzo portiere (ma non gli dà una lira). Però, nella vita non si sa mai. E Giampiero Combi, classe 1902, si presenta da Edoardo Agnelli (padre di Gianni e di Umberto): mi date un rimborso oppure parto per l’America. Juve decide per il sì e con Combi vince cinque scudetti, dal 1926 al ’34. I tifosi lo chiamano “fusetta” (fulmine in dialetto piemontese). Perché non è alto e non ha il fisico da portiere, ma scatta come una molla, non ha paura, si butta nella mischie e qualche volta ne esce con le ossa rotte. Il debutto non è felice (prende sette gol dalla Pro Vercelli, ma lo chiamano in Nazionale. Stesso debutto con sette gol presi in Ungheria.

Giampiero Combi, però, ha uno stile e un fascino che lo distinguono da tutti gli altri giocatori. In campo va con due maglioni, che cambia tutte le volte nell’intervallo (“per essere sempre ordinato”, dice). E i pantaloncini? Se li fa confezionare da un sarto di fiducia. Sono di fustagno, sono imbottiti e hanno due tasche (“per infilarci le mani quando avevo freddo e per le sigarette, ne fumavo sempre una nell’intervallo”, racconta). Alla Juve sono innamorati di lui. Agnelli gli regala una Fiat 501 ma a lui non basta. Con 14 mila lire si compra una Lancia-Pininfrina rossa e decappottabile. Si mette anche in testa di partecipare alle Mille Miglia, ma la società bianconera glielo proibisce.

Nel 1934 decide di smettere. Basta. E poi c’è la distilleria di famiglia da mandare avanti. Il Ct Vittorio Pozzo lo convoca come secondo in Nazionale. Il titolare è il bergamasco Carlo Ceresoli, portiere dell’Inter. Ma Cerosoli si rompe un braccio a dodici giorni dal via. E quel Mondiale l’Italia lo “deve” vincere. Giochiamo in casa, e il Duce vuole assolutamente questa vittoria. In ospedale, accanto al letto di Ceresoli, Pozzo in dialetto piemontese gli dice: “Piero, sotto, tocca a te”. Combi si ritira in un angolo e scoppia a piangere. Si farà trovare pronto, anche se, di fatto, aveva smesso di giocare. L’Italia vince il Mondiale, ai tempi supplementari contro la Cecoslovacchia. La Federazione regala ai giocatori 20 mila lire. E anche Mussolini promette, a ciascuno, un regalo. Combi chiede, per se e la sua famiglia, una tessera ferroviaria a vita. Quella tessera non è mai arrivata e sul regalo del Duce c’è da aprire un’altra, bellissima, storia. Combi, quando è ancora braccio destro di Umberto Agnelli alla Juve, muore d’infarto nell’agosto del 1956.

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