DDD
I migliori video scelti dal nostro canale

LA LIQUIDITA' NEL CALCIO E' DIMINUITA ESPONENZIALMENTE

Gigio e Calha, la strategia aziendale del Milan: asset patrimoniali o costi insopportabili

FLORENCE, ITALY - MAY 11: Hakan Calhanoglu and Gianluigi Donnarumma of AC Milan celebrates the victory after the Serie A match between ACF Fiorentina and AC Milan at Stadio Artemio Franchi on May 11, 2019 in Florence, Italy.  (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Quale politica persegue il Milan alla luce delle dinamiche di mercato degli ultimi anni

Redazione DDD

di Max Bambara -

La vulgata facilona e preconfezionata sostiene che il Milan abbia avuto un danno al bilancio, perdendo due asset patrimoniali dal valore di 80 milioni di euro (60 milioni Donnarumma, 20 milioni Calhanoglu). Il contesto contemporaneo, la realtà empirica e l’evoluzione delle scelte dei club degli ultimi anni, dicono invece esattamente il contrario. Ragionare ancora con schemi mentali figli di un tempo che non c’è più, non è esercizio utile alla verità in virtù di ciò che sta avvenendo nel calcio mondiale, un vero e proprio tsunami che rischia, di rivoluzionare il modello gestionale dei club nei prossimi anni. In parte, tuttavia, ciò è già avvenuto, nel silenzio sordo di chi non ha saputo cogliere la dimensione del cambiamento. Vero è che, fino a qualche anno fa, si preferiva rinnovare un contratto ed alzare un ingaggio magari per una singola stagione, per poi finire col cedere il giocatore rinnovante. Questa strategia era molto chiara ed intelligente; quasi tutti le società la perseguivano perché, evidentemente, era preferibile fare in questo modo, piuttosto che perdere un giocatore a parametro zero. I mutamenti del mercato hanno però rivoluzionato questo tipo di strategia aziendale. Non è stata soltanto una questione legata alla pandemia da COVID 19 che ha certamente acuito alcune criticità già emergenti da qualche tempo nel mondo pallonaro. Si è trattato semmai di un capovolgimento dei presupposti del mercato, avvenuto in maniera silenziosa.

Fino a qualche anno fa infatti, sia i campioni, sia i buoni giocatori, avevano mercato fra i club e se veniva subodorata la possibilità, per un giocatore, di finire sul mercato, si scatenava una sorta di asta fra più società, che provavano ad assicurarsene le prestazioni a suon di rilanci, sia in termini di costo del cartellino, sia in termini di emolumenti.

 (Photo by Alberto Lingria - Pool/Getty Images)

(Photo by Alberto Lingria - Pool/Getty Images)

Oggi questo scenario è diventato molto meno probabile. Lo dimostrano, inequivocabilmente, le scelte dei grandi club negli ultimi anni che sono state diverse rispetto al recente passato, perché adottate in aperta controtendenza con la corsa al rilancio sugli ingaggi che, invece, era diventata una moda pericolosa, che ha finito per alzare il livello di indebitamento di molti club.

E così, il Bayern Monaco ha scelto di non rinnovare il contratto ad un giocatore simbolo come Alaba, il Liverpool ha preferito perdere a costo zero un elemento importante come Georginio Wijnaldum pur di non proseguire nella corsa al rialzo, il Lione ha perso Depay a costo zero ed il City non ha rinnovato il contratto di Aguero. Soprattutto poi, risulta significativa la scelta del club più titolato al mondo: il Real Madrid infatti ha optato per non rinnovare il contratto al suo capitano Sergio Ramos (che recentemente aveva alzato al cielo tre Champions League consecutive), rinunciando ad inseguire il Paris Saint German sul terreno degli ingaggi spropositati.

Lo stesso PSG comunque, soltanto due estati fa, aveva scelto di non rinnovare il contratto di Rabiot, suo talento del vivaio, non ritenendo assolutamente congrue le richieste avanzate dal giocatore francese in sede di rinnovo; il giocatore si è così accasato alla Juventus, che gli ha riconosciuto un contratto ricchissimo senza avere, dal campo, riscontri significativi del suo valore tecnico.

Rimanendo inoltre all’attuale Serie A, bisogna evidenziare come l’intero attacco titolare della Juventus (la squadra italiana con il fatturato più alto) sia in scadenza di contratto fra 12 mesi (Ronaldo e Dybala), mentre l’Inter non ha ancora rinnovato il contratto a Brozovic, il Napoli ad Insigne, la Roma a Pellegrini ed il Milan a Kessié (tutti giocatori importanti in scadenza al 30 giugno 2022).

Che cosa vuol dire tutto questo? Significa semplicemente che ormai le società di calcio non vedono più i giocatori come asset patrimoniali da cui, nel tempo, poter ricavare risorse per il mercato, bensì soltanto come costi da sostenere ogni anno.

Pertanto i loro ingaggi vanno valutati solo sulla base di due parametri discretivi: l’adeguatezza e la sostenibilità. Tutto ciò nasce da un mercato bloccato, in cui pochissime squadre spendono cifre a due zeri; un mercato che fornisce poche possibilità di liquidità immediata e che vive tantissimo di scambi creativi e di prestiti con diritto di riscatto che si trasformano in obbligo soltanto al compimento di determinate condizioni. Pensare di rinnovare a cuor leggero i contratti quindi, confidando nel fatto che poi, al momento del bisogno, un giocatore possa essere ceduto abbastanza facilmente, non è più una strategia aziendale produttiva, in quanto è mutato in maniera repentina il contesto e la circolazione di poca liquidità ha favorito soluzioni di altro tipo per il mercato in entrata dei club. Di base, un giocatore che rinnova ad una cifra fuori mercato o che firma un nuovo contratto pluriennale ad una cifra irragionevole, diventa invendibile e, qualora dopo un anno non fosse più un giocatore strategico per l’allenatore o per la società, la sua cessione diventerebbe una vera e propria chimera.

Emblematico in tal senso il caso di Javier Pastore: l’argentino arrivò a Roma per volere di Monchi nell’estate del 2018, firmando un contratto quinquennale (sino al 2023) a 7,4 milioni di euro lordi a stagione. Da due anni Pastore è praticamente fuori dal progetto Roma (dopo l’esonero di Di Francesco) e la Roma, in ragione dell’ingaggio elevato, non riesce a piazzarlo in nessun altro club.

Questo è l’attuale contesto in cui tutti i club sono costretti a fare calcio ed a tentare di sviluppare una strategia aziendale. Si tratta di un contesto dove circola poco denaro liquido, nel quale i giocatori ed i procuratori, con determinate pretese contrattuali, rischiano di rendere bloccate le società per molti anni a venire. Se non si ponderano bene tutti questi aspetti, forse si può cadere nella questione vacua della “perdita dell’asset patrimoniale”; tuttavia, se si analizza con lucidità l’attuale situazione finanziaria del calcio, si trae la conclusione che, oggi come oggi, soltanto una valutazione equa degli ingaggi, alla luce dei parametri di valore, può dare ai club la possibilità di sviluppare una strategia realmente sostenibile.

tutte le notizie di