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TRA NASCONDINO E VITTIMISMO

Gigio e Calha senza sacro fuoco: il silenzio la scelta più saggia

MILAN, ITALY - JANUARY 28:  Gianluigi Donnarumma of AC Milan embraces Hakan Calhanoglu #10 at the end of the serie A match between AC Milan and SS Lazio at Stadio Giuseppe Meazza on January 28, 2018 in Milan, Italy.  (Photo by Marco Luzzani/Getty Images)

A confronto gli addii di Donnarumma e Calhanoglu: la maglia del Milan indossata senza percepirne appieno l'importanza.

Redazione DDD

di Max Bambara -

Il grande Arrigo Sacchi sosteneva che, nel suo Milan, venivano scelti prima gli uomini e poi i giocatori. Al talento, in sostanza, dovevano accompagnarsi una serie di requisiti morali, senza i quali persino un giocatore di grande qualità veniva scartato. Questo modo di ragionare deve essere rimasto impresso nella mente di Paolo Maldini che, nel suo modus agendi da dirigente operativo, ha scelto di guardare i giocatori in faccia per capire quanto siano fieramente coinvolti nel progetto del Milan. Se è necessario pregarli, implorarli, accontentarli, beh allora forse è preferibile optare per una scelta diversa. Le storie di Gianluigi Donnarumma e di Hakan Calhanoglu, per quanto diverse, hanno lo stesso minimo comune denominatore. Entrambi non avevano tutta questa voglia di Milan. Non è questione di essere tifosi, aspetto che non entra quasi mai in certe valutazioni dei professionisti, bensì di coinvolgimento nel progetto del club, di quel piacere di sentirsi milanisti, dell’essere parte di un qualcosa che, di anno in anno, vuole crescere, radicarsi, stabilizzarsi. Sia in Donnarumma, sia in Calhanoglu, questa molla interna, quella che poi determina il sacro fuoco, non c’era. Non è dato sapere se ci sia mai stata, ma i fatti dicono che il portiere, da poche ore sotto contratto con il PSG, ha voluto far sapere al popolo milanista che la scelta è stata tutta sua e che è stata fatta soltanto per crescere, per andare in un club che ha l’ambizione di poter vincere la competizione massima, ossia la Champions League. Legittimo come ragionamento, inopportuno nelle modalità, nella tempistica, nell’incapacità di saper comunicare coniugando una scelta professionale con il rispetto per un club che, per Donnarumma, non è stato semplicemente il detentore del suo cartellino, bensì il club che lo ha lanciato e che gli ha dato tutto, permettendogli di esordire in Serie A a 16 anni e di costruire una carriera importante e remunerativa sul piano economico. L’ex numero 99 può certamente rivendicare il diritto di cambiare squadra, ma non può pensare di passare per milanista, come ci ha tenuto a precisare in tutti i modi nel suo post di commiato, perché il popolo rossonero non è stupido ed accetta tutto meno che le prese per in giro. Ed allora, vai pure dove credi ragazzo, ma ricordati che il Milan ha una storia ed una sacralità che vanno oltre le contingenze del momento e soprattutto ha un progetto riconosciuto da tutti se è vero, come è vero, che un ragazzo di talento come Tomori ha preferito rimanere qui, piuttosto che giocare da titolare nel Chelsea campione d’Europa.

 (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Diverso, persino più di bassa lega, il discorso di Calhanoglu che, sgradevolmente, ha rilasciato dichiarazioni che descrivono in modo perfetto il personaggio. “Nel Milan solo Pioli mi voleva davvero”. Nemmeno venti giorni dopo il salto della quaglia per una manciata di milioni in più, ecco uscire fuori il vero volto del trequartista del Bosforo. Si tratta di dichiarazioni evitabili, pelose, rivendicative, irrispettose di un club che per 4 anni ne ha coperto i limiti di personalità, le lacune nel dribbling, l’incapacità di essere decisivo nei big match, la mancanza di personalità. Lo stesso club che gli aveva proposto quasi il raddoppio dello stipendio, premiando quattro mesi positivi in quattro anni, con una importante apertura di credito. Dinanzi a questo, le meschinità potrebbero tranquillamente rimanere celate nel suo animo, senza la necessità di diventare di pubblico dominio. L’operazione candeggio, già partita da parte di coloro che lo descrivevano come un mediocre, sta portando in tanti al paragone fra Calhanoglu e Luis Alberto, il trequartista della Lazio, soprannominato il Mago. In effetti qualcosa di magico il giocatore turco la possiede: in tempi in cui va di moda il falso nove, è riuscito, per quattro anni, a far giocare il Milan con il falso dieci. Non è un’impresa per tutti.

Se non si ha la capacità di assumersi la responsabilità di una scelta, il silenzio sarebbe probabilmente il modo migliore per uscire da una situazione spiacevole. Altri tempi quelli in cui un grande uomo come Mark Van Bommel spiegava la sua scelta di lasciare il Milan dinanzi alle telecamere della televisione di famiglia, versando lacrime vere, da uomo prim’ancora che da professionista. Altra pasta di persona, altra tempra! Dinanzi ad un ventenne che si nasconde ancora sotto il gonnellino del suo entourage e dinanzi agli sfoghi vittimistici di un trequartista in cerca d’autore non si può che ricorrere ad una frase di Bakunin che racchiude l’essenza più pura della comicità: “una risata vi seppellirà”!

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