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LA DIFFERENZA E LA SOLUZIONE

Il Milan e le difese chiuse: casa e trasferta, ecco perché

(Photo by Valerio Pennicino/Getty Images)

Analisi: ecco le ragioni di campo relative al diverso rendimento rossonero fra casa e trasferta

Redazione DDD

di Max Bambara -

Il Milan deve rivendicare con orgoglio quanto fatto sinora; contestualmente tuttavia deve porre una importante riflessione alle pieghe dei dettagli del campo che, se analizzati con occhio analitico, possono dare spunti preziosi per la crescita della squadra rossonera nel prossimo futuro. Un futuro che, evidentemente, non può dipendere dall’esito della prossima gara. Il gruppo di Stefano Pioli ha fatto un cammino notevole; è stato una delle squadre capaci di offrire picchi di gioco piacevoli ed entusiasmanti durante la stagione agonistica, arrivando a toccare livelli di calcio altissimi, basti pensare che, per l’intero girone d’andata, il Milan ha sempre segnato almeno due gol in 17 partite su 19. I numeri della stagione però vanno letti con estrema attenzione perché, all’interno di essi, si cela la ragione principale di una corsa Champions League non definita, con il Milan costretto a provare a vincere a Bergamo contro l’Atalanta nell’ultima giornata di campionato, al fine di non veder vanificati tutti gli sforzi stagionali. La squadra rossonera, fra le mura amiche, ha avuto infatti un rendimento da Europa League con soli 30 punti su 57 disponibili; in trasferta, invece, il Milan ha avuto un rendimento top, da scudetto dei record, con 46 punti su 54 disponibili (perdendo punti soltanto contro il Genoa, contro lo Spezia e contro la Lazio).

 (Photo by Marco Luzzani/Getty Images)

(Photo by Marco Luzzani/Getty Images)

Appare ovvio ed evidente come il problema non possa essere rappresentato dallo stadio in cui si gioca (per intenderci non c’è nessuna maledizione su San Siro), visto che questa stagione è stata atipica e gli stadi sono stati vuoti, annullandosi quindi il vantaggio del fattore campo dal punto di vista del sostegno psicologico per la squadra di casa. Le ragioni di un rendimento così diverso nella sua discontinuità vanno semmai ricercate nella disposizione in campo degli avversari che, in trasferta, quasi sempre tendono a lasciare spazi partendo con l’idea di giocarsi la partita, mentre in casa tendono a lasciare agevolmente il pallino del gioco al Milan, mettendosi dietro ad aspettare. Sotto certi punti di vista, questi atteggiamenti da parte degli avversari sono anche un complimento per il Milan che viene molto temuto sul piano della manovra offensiva. Non è casuale come, in questa stagione, la squadra rossonera abbia ripreso ad avere una certa sintonia con le partite europee nelle quali gli avversari preparano la loro partita senza fare troppe tare sul gioco avversario. Questo tipo di problematica è endemica e fa parte della storia del Milan; le due versioni del Milan più spettacolare dell’era moderna (quello di Sacchi e quello di Ancelotti) hanno vinto un solo scudetto a testa proprio per una identità tecnica molto adatta a contesti europei, ma poco consona alle lunghe corse a tappe, dove l’esasperazione del tatticismo prevale su tutto il resto.

In tempi moderni la questione è comunque destinata a riproporsi anche nella prossima stagione, visto che gli allenatori della Serie A italiana sono particolarmente bravi nel preparare le partite addosso agli avversari. Come se ne viene fuori pertanto da questa impasse? Esistono due soluzioni, che non sono per forza alternative fra di loro. Innanzitutto contro avversari che si chiudono va alzata la fisicità della squadra, che non può sempre costruire col fraseggio corto, ma che ha bisogno di avere un centravanti sul quale appoggiarsi per salire scavalcando il centrocampo. Ibrahimovic deve avere un alter ego credibile e non di facciata, visto che il centravanti svedese ha giocato soltanto metà delle gare di campionato del Milan. Limitare però l’atarassia offensiva del Milan in tante gare casalinghe soltanto alla assenza di un centravanti vero, rischia di essere una valutazione troppo approssimativa e finanche poco realistica, atteso che la punta, in area, finalizza il gioco della squadra e, in molte partite di questa stagione, il Milan in casa ha creato troppo poco. Vi è pertanto un tema legato alle caratteristiche dei tre giocatori dietro la punta nel modulo che, ormai, il Milan utilizza abitualmente (il 4-2-3-1). Ci sono troppi pochi gol complessivi (l’unico giocatore che è andato sempre in doppia cifra nelle ultime due stagioni è Ante Rebic) e c’è poca qualità nello stretto, sia come giocate individuali, sia come capacitò di creare la superiorità numerica. L’attuale numero 10 titolare del Milan, il turco Calhanoglu, ha fatto una stagione con soli 3 gol su azione in campionato. L’attuale ala destra titolare, il belga Saelemekers, ha invece segnato soltanto 2 reti. Appare evidente come in questi due ruoli il Milan possa e debba alzare il numero delle marcature e, magari, anche delle giocate determinanti sul piano offensivo. Tutto ciò perché contro le difese chiuse, se si eccettua l’opzione della palla lunga, l’unica soluzione reale è quella di un fraseggio più rapido, unito alla capacità di saltare l’uomo costante da parte degli interpreti offensivi che, inoltre, devono anche avere una certa confidenza con la porta avversaria dal punto di vista realizzativo.

La parte sportiva della società milanista rappresentata da Paolo Maldini e da Frederic Massara è chiamata, in estate, a ragionare su queste tematiche di campo ed a trovare delle soluzioni convincenti nonché compatibili con le esigenze di bilancio del club che, in epoca pandemica, non possono di certo essere trascurate. Tutto questo però adesso rimane sospeso, perché il Milan ha dinanzi a sé la possibilità concreta di tornare in Champions League dopo 8 anni, battendo l’Atalanta in casa sua. Non è un’impresa facile, tutt’altro, ma è un’impresa che, da sola, ripagherebbe i sacrifici sostenuti dal club nell’ultimo anno e mezzo. Per il Milan è, pertanto, doveroso crederci con tutte le forze e le energie.

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