00:30 min
STEP BY STEP

Il Milan ha iniziato un percorso che in Europa richiede tempo

Redazione DDD

Quel tributo chiamato inesperienza

di Max Bambara -

[an error occurred while processing this directive]

Non si può non riconoscere che al Milan versione Champions League manchi ancora qualcosa per poter essere una squadra credibile, capace di dominare eventi, situazioni, fasi della partita e sfortune del momento. D’altronde l’attuale Milan che tanto bene sta facendo in campionato non è nato in poche settimane, bensì tramite un percorso che ha conosciuto ostacoli importanti e che, soprattutto all’inizio, ha messo in evidenza limiti e lacune. Tali deficit sono stati poi colmati col tempo, con le conoscenze e con la programmazione; il tutto è stato reso possibile da una coesione forte fra l’area tecnica, la dirigenza e la proprietà del club rossonero. Il Milan di oggi, questo splendido meccanismo che produce gioco, punti e che esalta l’estetica, è figlio di un cammino coraggioso, nel quale il vento di procella non è mai mancato. Eppure i timonieri della nave sono stati sempre sicuri della struttura del loro vascello e non hanno mai dubitato della sua capacità di attraversare il mare aperto, resistendo alle intemperie. La Champions League, tuttavia, non può essere considerata come un semplice mare da attraversare: è, semmai, un vero e proprio oceano con correnti più forti ed impetuose rispetto al mare della Serie A. I ritmi di gioco e la fisicità della massima competizione europea sono diversi e più marcati rispetto al campionato italiano. Qualche settimana fa, prima dell’esordio delle squadre italiane in Champions League, Arrigo Sacchi ha individuato nel Milan e nell’Atalanta le squadre con uno stile di gioco maggiormente adatto alla massima competizione europea. Il Milan infatti, in Serie A, produce un calcio in cui vengono esaltati i ritmi alti, gli uno contro uno, la volontà di provare a fare un gol più dell’avversario, la scarsa voglia di speculare su un risultato di misura, tanto è vero che spesso la squadra di Pioli accetta il rischio di giocarsi situazioni di campo aperto a sistema puro (aspetto reso possibile dalla presenza in organico di un difensore molto veloce come Tomori). Eppure in Europa manca qualcosa perché il gioco, l’identità e lo stile, sono presupposti importanti ma, da soli, non sufficienti per dare ad una squadra credibilità internazionale.

E qui veniamo al tema principale: può una squadra senza esperienza (o con pochissimi giocatori con esperienza internazionale) fare bene in Champions League? In teoria questo è possibile, ma nella pratica le difficoltà sono infinitamente più alte rispetto agli anni ’80 quando proprio il Milan di Arrigo Sacchi, con una squadra di esordienti (solo Ancelotti e i tre olandesi avevano esperienze pregresse in Coppa dei Campioni nel 1988) riuscì a vincere due Coppe dei Campioni consecutive. La Champions League di oggi non è infatti la Coppa dei Campioni di ieri: quando si rientra nel giro dopo qualche anno di attesa, bisogna fare i conti con una tassa occulta chiamata inesperienza. Non basta giocare bene ed avere concetti di gioco evoluti. C’è uno step ulteriore da compiere. Bisogna capire i momenti e leggere le situazioni, ma soprattutto è necessario capire che quando si sta facendo bene, o comunque si sta tenendo la gara sui binari giusti, l’onda d’urto degli avversari può diventare uno tsunami se non si interpretano al meglio le situazioni. Il Milan che ha perso 3 partite su 3 in Champions League vinceva 2-1 all’intervallo di Anfield, vinceva 1-0 a dieci minuti dalla fine contro l’Atletico, pareggiava una gara scorbutica contro il Porto a mezz’ora dalla fine. Senza dubbio gli infortuni hanno tolto a Pioli tante alternative da giocarsi a gara in corso per innervare la squadra di energie nuove. Tuttavia, con un pizzico di malizia in più, il Milan avrebbe potuto essere tranquillamente secondo nel girone. Se ciò non è avvenuto, al di là di due episodi arbitrali che tolgono sempre più credibilità all’UEFA, ci sono smagliature di gioventù che possono sanarsi soltanto con l’errore, la ponderazione dello stesso, la crescita dell’attenzione. L’inesperienza è un tributo che oggi ha un’aliquota alta, probabilmente iniqua; negli anni ’80 era molto più bassa, in alcuni casi era persino eludibile. Basti pensare che il Milan del 1988 rientrò in Coppa dei Campioni dopo 9 anni e si trovò dinanzi il Vitosha Sofia; il Milan del 2021, rientrando in Champions League dopo 8 anni si è trovato dinanzi nientemeno che il Liverpool. Differenze che spiegano molte cose e che ci danno l’esatta percezione del percorso che il Milan ha già iniziato a fare per ridarsi una dimensione europea di alto livello.