Il primo, contro il Dortmund, poteva sembrare quasi un trionfo: sotto 4-2 al 90', la Juventus strappa un punto che profuma di impresa. Il secondo, invece, lascia un altro sapore, il 2-2 dell’Estadio de La Ceramica col Villarreal è un punteggio corretto per come le squadre si son divise le due frazioni di gioco, ma alla fine per i bianconeri il retrogusto, che lascia il colpo di testa dell’ex Renato Veiga, è amaro, fa male e suona come una beffa.
L'Editoriale
Juventus, la beffa dell’ex vanifica la reazione: Tudor è un pari amaro

Tra Serie A e Champions per la squadra di Tudor si tratta del quarto pareggio consecutivo dopo quelli col Dortmund, Verona ed Atalanta. L’imbattibilità è salva, sì, ma non è sinonimo di successo: basta ricordare il trend di Thiago Motta dello scorso anno, per capire che senza vittorie non si va lontano.

Juve, Locatelli ha ragione: manca la gestione dei momenti
—Le parole di Manuel Locatelli nel post partita sono forse il miglior riassunto della serata di Vila-Real. Una Juventus a due facce, capace di farsi schiacciare nel primo tempo e di reagire con orgoglio nella ripresa. Ma per una squadra che ambisce a competere in Serie A e in Champions League non può bastare: regalare quarantacinque minuti agli avversari, inseguire sempre il risultato e poi abbassarsi per paura di vincere è un difetto strutturale.
La rimonta bianconera, con l’inerzia che sembrava spinta verso il colpo del ko, è stata vanificata da un atteggiamento rinunciatario negli ultimi minuti. In situazioni del genere, forse l’ingresso di Vlahovic avrebbe potuto mantenere alto il baricentro e offrire un’uscita offensiva, invece di rintanarsi dietro. È un tema che si ripete: era successo anche contro l’Inter, quando dopo il 2-1 i bianconeri (prima del 3-3 di Thuram e del 4-3 di Adzic) non seppero gestire il vantaggio.

“Abbiamo approcciato bene il secondo tempo, ma ci siamo abbassati troppo nel finale. Ci manca la gestione dei momenti, sono dettagli che fanno la differenza. L’esperienza conta tanto e dobbiamo metterci qualcosa in più”. Parole lucide, che suonano come monito per una squadra che deve imparare a vincere le partite anche con la testa, oltre che con le gambe.

Juventus, il miglior attacco è la difesa?
—La Juve in Spagna ha confermato quanto già visto col Dortmund: i problemi difensivi restano irrisolti. L’assenza di Bremer ha pesato, certo, ma anche col brasiliano in campo non tutto è stato impeccabile. Il reparto arretrato, paradossalmente, si è distinto più in fase offensiva che in quella di competenza: il gol di Gatti e l’assist di Kelly sono l’emblema di una retroguardia capace di colpire davanti ma che resta vulnerabile dietro.

Sul primo gol del Villarreal, le responsabilità vanno condivise tra Gatti e Kelly; sul secondo, ancora una disattenzione collettiva ha permesso all'ex compagno di spogliatoio, Renato Veiga, di battere a rete indisturbato. Troppi errori, troppa leggerezza. Eppure Tudor aveva dato segnali chiari: solidità e compattezza sarebbero dovute essere le basi della sua Juventus. Al momento, invece, la difesa è un punto debole più che un punto di forza.

Tudor, tra turnover e rebus offensivo
—Se la difesa scricchiola, davanti la situazione è ancora più fluida. Tudor ha scelto un turnover marcato: 23 calciatori impiegati su 27, 19 titolari diversi e cambi massicci tra una gara e l’altra. Cinque variazioni tra Dortmund e Verona, quattro contro l’Atalanta, ancora cinque a Vila-Real: numeri che danno la misura di una rotazione costante, forse troppo.
L’allenatore croato lo ha detto chiaramente: “Quando sei chiamato a giocare ogni tre, quattro giorni è un altro calcio”. La gestione di un doppio impegno non è mai stata il suo pane quotidiano, e i continui cambi rischiano di pesare sull’identità della squadra. Le uniche certezze, al netto degli infortuni, restano Khephren Thuram e Kenan Yildiz; il resto è un puzzle in continua ricomposizione.

Il reparto offensivo è quello più esposto al rimescolamento. Dalla centralità di Jonathan David nelle prime giornate al rilancio di Vlahovic, passando per il test Openda e persino l’adattamento del canadese in trequarti: in appena sette partite, la Juventus ha schierato 15 tridenti d’attacco diversi. Difficile trovare automatismi, difficile trovare gol con continuità.
In questo mare di incertezze, la Juve resta imbattuta ma anche ferma: quattro pareggi consecutivi che raccontano una squadra resistente, sì, ma non ancora vincente. E per competere davvero, il pareggio non potrà mai bastare.
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