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editoriali

La differenza fra il pubblico e il privato: Zvonimir Boban e il “mestiere” del dirigente

VERONA, ITALY - SEPTEMBER 15:  Zvonimir Boban of AC Milan  looks on during the Serie A match between Hellas Verona and AC Milan at Stadio Marcantonio Bentegodi on September 15, 2019 in Verona, Italy.  (Photo by Alessandro Sabattini/Getty Images)

Dal 2013 ad oggi, le cose non sono cambiate

Redazione DDD

di Max Bambara -

Era l’autunno del 2013 ed i tempi erano un po’ diversi rispetto ad oggi. Adriano Galliani era ancora l’amministratore delegato del Milan e Zvone Boban era uno dei migliori opinionisti dell’emittente televisiva Sky Sport. All’epoca nessuno avrebbe immaginato che, a distanza di qualche anno, Boban si sarebbe potuto ritrovare a guidare il Milan come dirigente. In quell’occasione l’argomento trattato era Mario Balotelli che, nel suo secondo anno rossonero, stava dando parecchie occasioni agli addetti ai lavori per essere critici nei confronti dei suoi comportamenti. Boban pertanto colse la palla al balzo per chiedere al suo ex dirigente come mai Balotelli non fosse stato punito per l’espulsione contro il Napoli. La risposta di Galliani, rivista oggi ed alla luce degli ultimi eventi, fu particolarmente significativa. L’ex storico dirigente del Milan berlusconiano spiegò a Boban che Balotelli era stato punito, ma la punizione ricevuta da un giocatore era un fatto interno al club e che l’entità della sanzione economica non quindi andava resa pubblica. Boban allora provò ad incalzare Galliani facendo presente che forse il Milan era incorso in una caduta di stile non prendendo una posizione pubblica contro il giocatore. L’ex AD del Milan replicò che non è necessaria alcuna presa di posizione pubblica contro un tesserato perchè i fatti interni devono rimanere tali. In quel momento il vecchio ed esperto dirigente rossonero stava dando una grande lezione a tutti su cosa significhi svolgere l’attività dirigenziale in seno ad un club.

Boban, grandissima intelligenza calcistica e uomo dal pensiero libero e limpido, quel tipo di lezione non è però mai riuscito a farla sua, perchè troppo distante dalla sua visione del mondo. Zvone era ed è un balcanico, un uomo cresciuto nella guerra, dove la lotta per la sopravvivenza non consente un elogio assoluto della razionalità. Si vive d’istinto, quello stesso istinto che portò Boban a divenire il simbolo della ribellione croata, con un calcio sferrato ad un poliziotto serbo durante una partita fra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado nel maggio del 1990. Zvone nasce lì e si forma in quel contesto. Non è e non può essere una critica per una delle maggiori intelligenze sportive di cui il calcio ha il privilegio di poter beneficiare. Zvonimir non è mai banale quando parla. Va sempre dritto al punto. Non conosce l’arte della mediazione perchè il mondo da cui proviene non gli ha dato la possibilità di scoprirla; per lui avere delle opinioni significa anche battersi in tutti i modi per farle valere. Questo approccio al mondo però è antitetico rispetto ad una carriera dirigenziale. In un club sportivo le dinamiche non sono quasi mai limpide e senza ostacoli. Esistono le gerarchie, i momenti da interpretare, le tribune in cui misurare le parole e i segmenti stagionali in cui il silenzio è l’alleato migliore. La differenza fra una critica ed una constatazione alberga in queste parole. Non c’è e non ci può essere critica verso Zvone che è un uomo di cultura e conoscenze che arricchisce sia il mondo del calcio e sia la storia del Milan; con rispetto però, va evidenziato come Boban sia quasi in una posizione di idiosincrasia rispetto al mondo dirigenziale che, per lui, è come una bellissima camicia stretta che dopo un po’ lo porta a lamentarsi perchè lo priva della libertà di movimento.

Un dirigente non può, in nessun caso, rilasciare dichiarazioni pubbliche critiche verso un tesserato del club. A maggior ragione non può farlo verso un altro dirigente gerarchicamente superiore o verso la proprietà che garantisce gli stipendi ogni 27 del mese. Leonardo, a maggio di un anno fa, va via dal Milan perchè in contrasto con le visioni di Gazidis, ma non rilascia dichiarazione alcuna né prima e né dopo. Può fare polemica un ex giocatore o l’opinionista di una televisione, ma non chi vive la quotidianità del club in una posizione apicale all’interno dei quadri societari. Il Milan per 27 anni è stato così: un blocco granitico nel bene e nel male. Ci sono stati tanti momenti, in un arco temporale così lungo, in cui Galliani è stato in disaccordo con Berlusconi o con Braida ma si è sempre trovata una sintesi che permettesse al club di rimanere blocco granitico verso il mondo. Anche alla fine, quando il crepuscolo del Milan berlusconiano era ormai avviato, non sono mancate le differenti visioni. E’ storia nota che Galliani apprezzasse molto il lavoro di Mihajlovic come allenatore; quando però Berlusconi decise di esonerarlo e prendere Brocchi, l’ex AD si adeguò alla decisione del presidente. Poteva sbagliare Berlusconi (ed in quell’occasione fece suo malgrado un grave errore) ma era il proprietario, era colui che metteva i soldi ed aveva diritto di fare i suoi errori. Due giorni dopo, c’era Galliani accanto a Brocchi nella conferenza stampa di presentazione. Qualcuno certe cose le definiva in maniera irriguardosa, senza capire che in un club ogni decisione presa va difesa. Anche quando non la si condivide. Persino quando ti porta, purtroppo, ad un bivio della storia che ti penalizza come fu per il mancato arrivo di Carlos Tevez nel gennaio del 2012. Da queste dinamiche e da questi approcci, Zvone si è sempre sentito molto lontano. Lui, libero pensatore convinto, ha scoperto in questi mesi quanto difficile sia fare il dirigente del Milan rimanendo fedele alle proprie idee ed alle proprie legittime visioni.

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