RIGORI DECISIVI MA NON SOLO...

La Jugoslavia del Sudamerica

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Diario mondiale, diciassettesima puntata

Redazione DDD

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

Devoti di Fusignano e nerd di Coverciano. Minestrari e cavialisti. Fanatici del tiki taka e maniaci del campanile. Tutti in piedi: con un tiro nello specchio, uno solo in 130’, la Croazia ha scortato il Brasile ai rigori e, come con i nippo, l’ha fregato. Tutti in piedi, non scherzo. La Croazia non arriva a 4 milioni di abitanti, eppure: terza nel 1998, seconda nel 2018. Il Brasile del «jogo bonito», esplosivo contro i coreani, torna a casa nei quarti: gli era già successo in Russia. A quanto mi date che Tite, colui che ballava il samba in panchina, verrà declassato da maestro a somaro? Girano quote interessanti.

La Croazia è la costola calcisticamente più raffinata di quella Jugoslavia che definimmo il Brasile d’Europa

Sarebbe il caso, e l’ora, di dare al Brasile della Jugoslavia del Sudamerica. E questo, al netto della propaganda, per il reiterato spreco di talento e le immancabili amnesie nei momenti topici.

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(Photo by Alex Pantling/Getty Images)

La partita. Un western moscio, con sparatorie varie solo nella ripresa. Non nel primo tempo, controllato dalla banda Modric, con uno Juranovic, terzino destro, migliore per distacco, e un Pasalic, mossa segreta, di utilità estrema. Mancava, agli «scacchisti» di Dalic, un centravanti di peso: il Suker etichetta ‘98, il Mandzukic vendemmia ‘18. Un tipo così. Ecco (anche) perché non risultano tiri in porta. Sì, il «fuoricampo» di Brozovic avrebbe potuto alterare la trama, ma si è perso nell’al di là di Doha. Nessuno, nessuno, nemmeno il destino. Tranne quello lì, di Petkovic, entrato per offrire palloni da asporto come un pizzaiolo annoiato. Piano piano, o Brasil prendeva campo. E Livakovic, sempre lui, conquistava la «prima» su un maldestro fuoco amico, su Neymar e Paquetà, un paio di volte a testa e, fra gli ultimi tornanti del Golgota, su Casemiro. Il gol che spaccava l’equilibrio sembrava introdurre la festa degli «oh Ney oh Ney». Un gran gol: Neymar-Rodrygo-Neymar-Paquetà-Neymar, con Sosa e il portiere saltati come birilli. Viceversa, non succedeva più niente: se non il tocco di Orsic a Petkovic, e il «miracolo» di costui. Due cambi. Fiuto, fiuto delle mie brame…

I rigori sono la specialità dei nipotoni di Boban. Vlasic, Majer, Modric, lo stesso Orsic: zero errori. Cecchini implacabili. Un po’ meno, i brasiliani: Rodrygo murato da Livakovic (e dai!), Casemiro e Pedro (quattro sorsi di Firenze), a segno, sino al palo di Marquinhos, già sfigatissima sponda sulla freccia del pari. Hanno tradito i tenori: Vinicius, Raphinha, Paquetà, Antony (95 milioni? Arrestateli), Richarlison. Persino Neymar, sprazzi a parte.

Una biblioteca piena zeppa piange, un francobollo balla. «Sogna come se dovessi vivere per sempre; vivi come se dovessi morire oggi». E’ una frase di Oscar Wilde. La troverete, nascosta, tra la maschera di Gvardiol e la tigna di Perisic. Sì, la fortuna. Ma non sarà mai una colpa.

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