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A MANCHESTER STUDIANO IL MODELLO...

La lezione rossonera: in Inghilterra se ne sono accorti…

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I media britannici indicano il Milan come esempio da seguire per il Manchester United. Ciò dimostra che il "metodo" del calcio sostenibile scelto dal Milan è la strada maestra per il futuro

Redazione DDD

di Max Bambara -

Se il Milan avesse accontentato le richieste contrattuali di Gianluigi Donnarumma e di Hakan Calhanoglu nell’estate scorsa, oggi questi due giocatori costerebbero in totale più di 33 milioni di euro di ingaggio (22 milioni lordi il portiere, poco più di 11 lordi il centrocampista turco). Invece, seguendo questa linea virtuosa il Milan è arrivato a giocarsi lo scudetto all’ultima giornata, da primo in classifica, con una squadra titolare che costa “soltanto” 31,69 milioni di euro. Si riepilogano per comodità gli ingaggi lordi dell’undici titolare milanista: Maignan 3,67, Calabria 3,7, Kalulu 0,79, Tomori 2,62, Theo Hernandez 3,57, Tonali 2,2, Kessié 4,07, Bennacer 2,78, Messias 1,85, Giroud 4,59, Rafael Leao 1,83 (i dati sono stati presi dal sito calcioefinanza.it). Non sono casuali pertanto alcuni articoli apparsi nel Regno Unito, in cui il Milan viene preso come modello da seguire per il Manchester United, club storico e dalla grande tradizione che, negli ultimi anni, ha dilapidato parecchi quattrini in acquisti onerosi ed ingaggi faraonici. Pensate quanto è onorevole il complimento che proviene dall’Inghilterra. C’è un club che, ad oggi, fattura meno di 300 milioni di euro. Questo club viene preso come modello gestionale da un club che in questi anni ha fatturato almeno il doppio, se non addirittura più del doppio. Trattasi di schiaffo morale a chi continua a ripetere, con sembianze pappagallesche, che nel calcio i soldi sono tutto e che per vincere è importante buttare vagonate di quattrini. In realtà la componente economica riveste un ruolo preponderante e indispensabile, ma non può, da sola, garantire un ciclo virtuoso per un club. L’idea che sia sufficiente riempire di soldi i giocatori ritenuti migliori sta piano piano lasciando spazio ad una serie di dubbi più che leciti. Il calcio è e rimane uno sport di squadra. Fatte salve alcune eccezioni del recente passato (Leo Messi e Cristiano Ronaldo) e del futuro (Mbappé) non esistono giocatori capaci di vincere una partita da soli con il proprio talento. La componente collettiva avrà sempre una preponderanza superiore rispetto alla dimensione individuale.

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Pensare che basti “mettere i soldi” e fare passivi di bilancio importanti per vincere è una credenza quasi medievale che non trova riscontro nei fatti. Senza una strategia, una visione, un metodo di lavoro serio e sostenibile, prima o poi i bilanci diventano un terreno minato con il quale chiunque è costretto a fare i conti, persino coloro che, nel mondo, detengono le materie prime. Ecco perché i tifosi rossoneri devono essere orgogliosi e fieri della strada intrapresa dal loro club tre anni fa, un percorso che non ha conosciuto facili scorciatoie, ma che si è proposto un ritorno alla competitività nell’alveo di una sostenibilità ragionata. Non è stato semplice, perché per difendere i propri principi il Milan si è esposto ai rilievi di chi riteneva che perdere un giocatore a parametro zero fosse un’onta incancellabile per un club importante. Per il Milan e per la sua dirigenza, invece, la componente tecnica della squadra doveva e deve sempre essere parametrata su valori reali, figli del campo. In tal senso le richieste fuori mercato da parte dei giocatori non possono essere prese in considerazione perché “la squadra” come bene supremo da tutelare viene prima delle pretese irrazionali del singolo. Negli sport di squadra si vince con la squadra e per la squadra. I singoli, se si fanno travolgere da sé stessi ed escono dall’idea del collettivo, finiscono soltanto per ritrovarsi vittime di sé stessi, in prigioni dorate. Magari nelle vicinanze della Bastiglia.

 

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