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Il talento ha bisogno di pazienza

La parabola di Locatelli: le ragioni di una cessione maturata nel tempo

ROME, ITALY - JUNE 16: Manuel Locatelli of Italy celebrates after scoring their side's first goal during the UEFA Euro 2020 Championship Group A match between Italy and Switzerland at Olimpico Stadium on June 16, 2021 in Rome, Italy. (Photo by Claudio Villa/Getty Images)

L’attesa del talento: in tema di giovani bisogna sempre guardare oltre la partita della domenica o l’ultimo ciclo di gare non particolarmente positivo

Redazione DDD

di Max Bambara -

Per come si era arrivati all’estate del 2018, la cessione di Manuel Locatelli era quasi inevitabile per il Milan. Lo era, in primis, per ragioni tecniche in quanto la società rossonera aveva fatto un investimento importante un anno prima su Lucas Biglia come titolare in quella posizione di campo. Un'altra stagione da riserva non sarebbe stata produttiva per Locatelli che, da primo cambio della mediana nella stagione 2017-18, non era riuscito ad essere particolarmente incisivo. C’erano tuttavia anche delle motivazioni di natura economica in ragione del FPF che imponeva a certi club di fare qualche plusvalenza al fine di alzare il valore della produzione di un singolo esercizio di bilancio. C’erano però, soprattutto, motivazioni di ordine psicologico, visto che il Loca aveva qualità tecniche importanti e tratti di nobiltà calcistica già ampiamente visibili che, tuttavia, non riusciva ad esprimere con continuità da centrocampista subentrante e non più titolare. Il ragazzo faceva una certa fatica a darsi una dimensione in un Milan che, dal girone di ritorno del 2016-17, appariva ancora come un abito troppo grande per le sue spalle e per un carisma che, com’è normale che fosse, era ancora in fase di formazione. Oggi, invece, Locatelli è un giocatore vero, arrivato alla fine di un processo di maturazione durato tre anni, che lo hanno reso un giocatore pronto per il salto in una grande squadra. La prestazione di mercoledì sera contro la Svizzera è stata soltanto una conferma in tal senso. Non può essere considerato ancora un grande centrocampista, ma ne ha tutti i crismi per esserlo alle soglie dei 24 anni. Tre anni in provincia, a Sassuolo, in una squadra con alta propensione al gioco d’attacco, con un allenatore come De Zerbi che ha puntato su di lui anche nei momenti in cui sbagliava e sfornava prestazioni non all’altezza del suo talento, hanno permesso a Manuel di esplodere, di venire fuori nella sua dimensione più pura e cristallina. C'è sempre un percorso dietro un approdo e in ogni percorso non ci sono mai strade prive di pietre o totalmente libere da fossi nei quali cadere, riempirsi di fango, per poi ripartire con un bagaglio di esperienza maggiore e con un livello di consapevolezza diverso. In provincia, dove il carico delle pressioni è minore, questo percorso puoi farlo senza la luce dei riflettori perennemente addosso, senza che un passaggio sbagliato o una giornata stonata diventino un'onta da cancellare, bensì un semplice momento di crescita, sul quale soffermare pensieri profondi, energie mentali, riflessioni mature. Manuel, nel Milan, era un ragazzo con le stimmate del predestinato fin dai suoi trascorsi nella Primavera rossonera.

 (Photo by Claudio Villa/Getty Images)

(Photo by Claudio Villa/Getty Images)

I suoi gol al Sassuolo ed alla Juventus erano sembrati, in quello speciale mese di ottobre del 2016, un segnale di luce pura abbastanza eloquente. Già dal mese di gennaio del 2017 però, erano iniziati quelle che, per un ragazzo giovane, sono normali scosse di assestamento, inevitabili in un percorso di crescita e di maturazione. Il Milan perse a Udine su una palla sbagliata in maniera sanguinosa da Locatelli; il ragazzo giocava troppo libero nei pensieri, con uno spiccato senso del rischio, ma non aveva la struttura mentale per reggere il peso di un errore decisivo. Da quel giorno per Manuel iniziò una parabola inversa, in cui i dubbi sul suo reale valore divennero macigni in una tifoseria assetata di certezze e poco propensa a perdonare i dubbi di un ragazzo che aveva, come tutti, il diritto all’errore come passaggio chiave per evolvere in un ruolo particolarmente delicato come quello di centrocampista. E quando nell’estate del 2017 il Milan prese Lucas Biglia dalla Lazio, nessuno proferì parola o azzardò una critica sul fatto che Locatelli, con quella mossa, non era più un giocatore titolare e strategico nel Milan. A tutti semmai, ciò apparve come cosa buona e giusta, perché il tifoso è fatto così: vuole il talento, ma non gli perdona nulla, come se i percorsi e gli errori fossero eliminabili a suon di giudizi trancianti e di milioni di euro. Non è così e non può essere così. Se si vuole analizzare la storia di Locatelli bisogna farlo a 360 gradi, con uno sguardo analitico e non con l’intento di schierarsi pro o contro una cessione che è stata soltanto la conseguenza finale di un certo clima e di un determinato cammino. I giocatori, per rendere al meglio delle loro potenzialità, hanno bisogno di tante precondizioni: il sostegno e la fiducia dell’ambiente sono le due principali, senza le quali anche un contesto tecnico ideale diventa scarsamente sufficiente a valorizzare il talento. Una lezione per tutti quindi la parabola di Manuel Locatelli. Sminuirla o negarla, finanche ridimensionarla, non sono atteggiamenti che rendono onore a quella bussola fondamentale dello sport che si chiama merito. Il suo percorso, semmai, va capito, va analizzato, va pesato. I risultati sono un altare sul quale troppo spesso vengono sacrificate tante cose. Il Milan di oggi, la squadra più giovane della Serie A, dal percorso di Locatelli può imparare molto. Il talento dei Tonali, dei Leao, dei Saelemaekers, dei Diaz, non va svilito sulla scorta di qualche prestazione negativa. La vita va avanti e da ciò che accade si può sempre trarre una lezione sulla quale, possibilmente, riflettere con attenzione.

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