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editoriali

La scomparsa di Mura: Gianni, e adesso?

Una scomparsa che pesa, una grande perdita per l'Italia

Un grande uomo prima che una grande firma

Redazione DDD

di Roberto Beccantini -

La notizia che Gianni Mura se n’è andato a 74 anni, in un ospedale di Senigallia, accanto alla sua dolce Paola, mi ha lasciato di stucco, frase che non so mica se gli sarebbe piaciuta. Ha spiazzato persino il virus che si sta prendendo il mondo: è stato il cuore. Gianni, fuoriclasse assoluto. E come tale, di improbabile emulazione. Quante trasferte, quante mnemoniche, quanti ricordi insieme, sfumazzanti e dissacranti. Ci eravamo visti in una clinica di Milano, non molto tempo fa. Non stava benissimo, ma si stava riprendendo. Pensava ai lettori, i suoi unici «padroni», ai «cattivi pensieri» che di lì a poco avrebbe ripreso. E’ stato, di Gianni Brera, il custode più fedele, più appassionato e più colto. Ha scritto libri, ha raccontato tutto lo sport, dalle Olimpiadi al Tour al calcio, e la cucina, in punta di penna (e di penne, ça va sans dire), si è schierato, ha combattuto. Prima che una grande firma, un uomo grande.

Gazzetta dello Sport, Corriere d’Informazione, Epoca, un po’ di Occhio e, dal 1982, Repubblica. Destreggiarsi fra il peso di un lutto e il conto di tanti lutti, non è facile. Gianni, lo sa: è stato un onore, per me, dividere la curiosità, l’adrenalina di una vita. Io, che adoravo gli hot dog. Lui, non proprio. E i giochi di parole, la caccia grossa ai punti esclamativi, le discussioni sullo stato del giornalismo, la resilienza tipica dei giapponesi che non volevano arrendersi agli invasori tecnologici: padroni e non schiavi della nostalgia dei bei tempi che furono. Paolo Sorrentino ha scritto: «Uno fa finta che il mondo era meglio prima, ma non è vero, è un alibi, eri tu che eri meglio prima». Ecco: il nostro mondo era meglio prima (anche, soprattutto) perché c’erano giornalisti come Gianni Mura. Schiena dritta, prosa affilata. E giuro: nessuna finta, nessun alibi.

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