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LA DIVERSITA' DEL MILAN

Il risanamento del Milan e le estati dispendiose di Juve e Inter

Stadio e bilancio, strategie Elliott

C'è una diversità nella politica societaria attuata negli ultimi anni dalle tre grandi storiche della Serie A. Il ripianamento di oltre 450 milioni operato da Elliott nell'ultimo triennio è stato fondamentale per il risanamento del Milan.

Redazione DDD

di Max Bambara -

Nella primavera del 2017 il nuovo Milan cinese, appena divenuto proprietario del club meneghino, aveva ereditato una società senza debiti bancari (vennero tutti estinti contestualmente all’acquisizione del club da parte della cordata cinese) e con un’esposizione debitoria di 123 milioni di euro (in virtù dei due bond emessi alla Borsa di Vienna). A questa situazione di partenza si aggiungevano alcuni numeri interessanti dal punto di vista del bilancio milanista, ossia un costo degli emolumenti dei calciatori relativamente basso ed un contestuale costo degli ammortamenti molto contenuto. C’erano, in buona sostanza, tutte le migliori condizioni finanziarie per poter investire e per rilanciare il brand del Milan. Le scelte operate dalla dirigenza milanista dell’epoca, unite ad una proprietà rossonera che, quasi sin da subito, si è dimostrata fumosa, inespressa, opaca e soprattutto inaffidabile dal punto di vista finanziario, hanno portato il bilancio rossonero ad appesantirsi, negli anni successivi, di costi notevoli, non parametrati al valore reale dell’organico. Nel luglio del 2018, dopo aver escusso tempestivamente il pegno in seguito alla violazione di uno dei covenant di natura patrimoniale vincolanti l’emissione del credito (si trattò di un mancato versamento di 32 milioni di euro da parte di Mister Li), il fondo Elliott è divenuto il proprietario unico del Milan e, da quel giorno, sono stati approvati tre bilanci con passivi importanti e consistenti. Il bilancio della stagione 2017-2018 si è infatti chiuso con un passivo, al netto delle imposte, di 121,2 milioni di euro. Il bilancio della stagione 2018-2019 è stato invece negativo per 142,2 milioni di euro, mentre il bilancio della stagione 2019-2020 ha segnato il passivo record per la storia del club di 194,6 milioni di euro. In totale parliamo di una perdita complessiva nel triennio di 456,15 milioni di euro che, senza colpo ferire e senza troppi sbandieramenti mediatici, è stata ripianata dalla proprietà americana del club con versamenti in conto capitale; ciò ha consentito al Milan di avere quella tenuta finanziaria, fondamentale per consentire alla dirigenza di programmare una ricostruzione del Milan.

La perdita complessiva del Milan, nel triennio 2018-2020, va analizzata sotto più punti di osservazione: in primis va rilevato come per il Milan sia stato fondamentale essere di proprietà di un fondo che presta soldi agli stati sovrani: senza il supporto finanziario di Elliott, difficilmente si sarebbe potuti arrivare ad un ripianamento delle perdite. Qualsiasi altra proprietà avrebbe optato per un tipo di politica diversa, ricorrendo a finanziamenti con tassi d’interesse sconvenienti, aumentando così l’esposizione debitoria (come ha fatto l’Inter), oppure alterando la realtà contabile con plusvalenze (come ha fatto invece la Juventus) che, sul singolo esercizio risolvono un problema, salvo poi presentare un conto salato negli esercizi successivi. Il fondo Elliott invece, potendolo fare in forza della sua potenza economica, ha optato per ridare smalto e credibilità al Milan senza accumulare debiti a bilancio, bensì risanando il club in un’ottica di miglioramento dei conti improntata alla sostenibilità e sulla scorta di un progetto di ampio respiro che non avesse come obiettivo la competitività immediata, ma la costruzione di un percorso netto. Se riguardiamo il ciclo degli eventi degli ultimi due anni, alla luce di quanto avvenuto, possiamo prendere atto di come oggi sia sin troppo semplice sostenere, come fanno in molti dall’alto di cattedre improvvisate, che il futuro del calcio risiede nella capacità dei proprietari e dei dirigenti di vedere un modello gestionale diverso. La pandemia ha senza dubbio influito sui conti del calcio, ma non può essere considerata la causa unica e sola dei problemi di tanti club: anzi, esaminata la questione in una dimensione globale, si può rilevare come la pandemia non sia la causa principale della crisi del mondo pallonaro, in quanto il COVID 19 s’è semplicemente limitato ad anticipare il sorgere del sole sui conti dei club. Oggi come oggi esistono solo due modelli di calcio: il mecenatismo old style, rivisitato e corretto, che, tuttavia, si possono permettere soltanto quei club che sono detenuti dai proprietari delle materie prime mondiali (vedasi PSG o Manchester City), oppure una gestione sana ed oculata dei conti, in cui gli investimenti sono direttamente proporzionali alla crescita del fatturato delle società. Tertium non datur! D’altronde chi ha provato vie di fuga più o meno furbesche negli ultimi anni, ha scoperto sulla propria pelle e sui propri conti che cosa possa significare fare il classico passo più lungo della gamba. Il caso della squadra campione d’Italia incarica che deve vendere i suoi giocatori principali è perfetto per sintetizzare i termini della questione. Il fondo Elliott invece, sin da quando è diventato proprietario del Milan, ha sempre avuto ben in mente quanto fosse importante risanare il club senza la fretta di dover per forza arrivare a dei risultati immediati. Sul punto la frase del presidente Paolo Scaroni di qualche settimana fa (“avevamo messo a budget il sesto posto”) chiarisce il quadro in maniera perfetta. Il Milan oggi, dal punto di vista gestionale, si ritrova almeno due anni avanti rispetto alla concorrenza e, dalle prime mosse della sua dirigenza, pare intenzionato a rimanere fedele ai suoi principi. Tradotto: nessun passo avventato, nessuna operazione non in linea con la compatibilità a bilancio, voglia di consolidarsi ai vertici della Serie A soltanto con investimenti mirati e di lungo periodo. Nessun volo pindarico sul mercato pertanto, perché la storia recente insegna che le direttive gestionali della proprietà milanista si sono rivelate non soltanto azzeccate, ma anche perfettamente adatte al contesto contemporaneo. Il percorso intrapreso è quello giusto: opportuno rimanervi fedeli, perché i salti nel vuoto sono da evitare in ogni modo.

D’altronde per capire com’è cambiata la scacchiera del calcio italiano, basta osservare cosa accadeva due anni fa e cosa accade oggi alle tre grandi storiche della Serie A italiana: nell’estate 2019 la Juventus acquistava De Ligt dall’Ajax per 75 milioni di euro, dopo che solo un anno prima aveva preso Cristiano Ronaldo dal Real Madrid per 120 milioni di euro. L’Inter, dal canto suo, ha speso quasi 150 milioni nelle ultime due campagne acquisti. Oggi la Juventus sta cercando un modo per “disfarsi” dell’ingaggio da faraone di Cristiano Ronaldo, mentre l’Inter, nonostante lo scudetto sul petto, è costretta a realizzare un attivo di 90-100 milioni per dare respiro al suo bilancio. Il Milan invece, che nell’estate 2019 iniziava ad impostare un mercato su giocatori giovani, di prospettiva e dal valore tecnico non ancora del tutto espresso, adesso ha mano libera sul mercato, senza pesi morti a bilancio che ne bloccano le prospettive di crescita. In due anni, insomma, si è ribaltato il mondo e non è possibile dare tutte le colpe alla pandemia perché il COVID 19 c’è stato per tutte le società. Qualcuno però sta pagando le annate da cicala; il Milan sta portando all’incasso le sue annate da formica.

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