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KJAER, L'ASSENZA DEL PRIMO PLAY

La volata Scudetto e la cura dei dettagli

Redazione DDD

La necessità di variare: importantissimo avere una retroguardia che subisce poco; vi è, tuttavia, l’esigenza di alzare la pericolosità offensiva del Milan con qualche modifica, sia nell’impianto di gioco, sia negli interpreti

di Max Bambara -

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Non c’è tempo per fare drammi, né c’è la possibilità di piangersi addosso e di partecipare al gioco dei colpevoli. Se a sette giornate dalla fine il Milan si ritrova in vetta, con un punto di vantaggio sugli inseguitori e con un margine ampiamente rassicurante (13 punti) sul quinto posto, le considerazioni da ricavare sono essenzialmente due. Prima: il Milan è ormai vicino al raggiungimento del suo obiettivo stagionale principale, ossia la qualificazione, per il secondo anno consecutivo, alla Champions League. Mancano solo 8 punti per la matematica certezza; ne mancano molti meno (3-4) per dare certificazione effettiva ad un traguardo che è bene non sottovalutare, né tantomeno sminuire. La squadra rossonera, infatti, è reduce da sette stagioni consecutive senza la qualificazione alla massima competizione europea per club (dal 2013-2014 al 2019-2020). Riuscire a dare continuità all’obiettivo raggiunto nella scorsa stagione non può che essere un risultato da salutare con grande soddisfazione. Il fatto che, nella stagione in corso, l’approdo alla Champions League sia risultato meno travagliato rispetto alla scorsa stagione va sottolineato come elemento di crescita positivo per questo gruppo.

Seconda considerazione: quando si è nel pieno di una corsa scudetto nella parte finale del campionato, soprattutto quando i distacchi fra le contendenti sono minimi, vi è un elemento che può fare la differenza: la cura dei dettagli. Il Milan, in questo senso, ha un indicatore estremamente positivo ed un indicatore critico sul quale può e deve lavorare con il cesello. L’aspetto positivo è rappresentato dalla tenuta della retroguardia. Quattro partite consecutive senza prendere gol sono un retaggio del Milan di Fabio Capello degli anni 90, una squadra in cui la solidità difensiva era il vero plusvalore. La coppia centrale formata da Kalulu e Tomori è quasi perfetta. Hanno entrambi fisicità, velocità, forza e grande reattività. Sanno giocare a campo aperto, sanno tenere l’uno contro uno senza andare in affanno, hanno un senso dell’anticipo eccellente. Entrambi, tuttavia, non sono registi difensivi. Le loro qualità di impostazione sono discrete, ma non hanno una visione di gioco eccellente e questo sfavorisce il Milan nella sua costruzione sin dalla primissima uscita della palla.

E qui arriviamo al punctum dolens. L'ultima volta che la squadra rossonera ha segnato 3 reti in una partita risale a tre mesi fa (trasferta a Venezia). Nelle ultime 10 partite inoltre, il Milan ha segnato soltanto 10 gol, a fronte di una media praticamente duplice nelle precedenti 21 partite (46 gol totali). Cosa è accaduto? L'infortunio di Simon Kjaer è stato tremendamente impattante sugli scenari offensivi rossoneri. Il Milan ha perso il suo regista difensivo, ma ha perso soprattutto il suo primo play, perché Simon era molto abile in fase di impostazione del gioco, sia nella visione del gioco durante il fraseggio corto, sia nella precisione del suo lancio lungo, vera chiave di volta per dare rapidamente ampiezza all’azione rossonera. Inizialmente, subito dopo l’infortunio del danese, la scelta sulla coppia difensiva titolare formata da Tomori e Romagnoli nasceva proprio dalla necessità di avere un play in fase di uscita della palla, per favorire una transizione rapida dalla difesa all'attacco. Questa coppia però presentava due problemi: i limiti di Romagnoli in marcatura e la poca adattabilità di Tomori, nel breve periodo, sul centrodestra difensivo. Con l’inserimento di Pierre Kalulu al centro della retroguardia il Milan ha così blindato la sua tenuta difensiva, ma questa problematica di un’uscita della palla meno rapida rimane e viene acuita dal fatto che, con Brahim Diaz sulla trequarti, il Milan ha un'opzione di scarico in meno in fase di possesso. Tutto questo rallenta la manovra offensiva, facendola apparire troppo impastata. In più sporca, spesso, alcune transizioni della palla che in tal modo perdono efficacia e pericolosità. A questa situazione bisogna aggiungere che il trittico offensivo composto da Messias, Brahim Diaz e Rafael Leao dietro la punta centrale è quello con più spunti offensivi, ma è anche il trittico con più solisti, ossia con più giocatori che aspettano la palla e cercano una giocata. In questo modo il livello complessivo della manovra rossonera diventa maggiormente prevedibile, perché difettano i movimenti dei giocatori senza palla che sono funzionali a dare opzioni di scarico a chi si trova in possesso. Stefano Pioli, nelle prossime partite, è chiamato ad inventarsi qualcosa di alternativo al canovaccio tattico abituale di questa stagione, esattamente come fece l’anno scorso dopo la sconfitta di Roma contro la Lazio, con il 4-4-1-1 di Torino che fu la pietra miliare per la qualificazione del Milan alla Champions League. Forse non è nemmeno necessario essere troppo fantasiosi. Il 4-1-4-1 di Napoli, con Kessie e Bennacer nel ruolo di mezzali, rappresenta un buon compromesso che permette al Milan di rimanere offensivo, riuscendo a pressare meglio gli avversari sin dalla loro prima impostazione del gioco e avendo un giocatore più portato di Brahim Diaz nella ricezione della palla dalla difesa all’attacco. Sulla destra del fronte offensivo invece, Stefano Pioli può dar sfogo a qualcosa di creativo, stante il momento appannato e poco brillante di Junior Messias e Alexis Saelemaekers. C’è Ante Rebic che quella posizione l’ha già ricoperta durante il Mondiale del 2018: sarebbe adattato, ma il croato è il giocatore offensivo del Milan che ha più gol nei piedi e, in questo momento, tenerlo in panchina non è un lusso che il Milan si può permettere. C’è, infine, un Samu Castillejo fresco e riposato che, forse, meriterebbe qualche attenzione in più.

Saranno i dettagli, pertanto, a fare la differenza in questa complicatissima corsa scudetto. Non è destinata a vincere la squadra migliore, perché quando le distanze sono minime a poche giornate dalla fine non vi è una formazione nettamente migliore delle altre; è, invece, destinata a vincere la squadra che sarà capace di essere più brava delle altre a guardarsi dentro, a rimanere unita in tutte le sue componenti, a sprecare meno occasioni, a valorizzare al massimo tutte le sue risorse, a rimotivare qualche giocatore rimasto nell’ombra. Dettagli per l’appunto. Dettagli che possono valere un posto in prima classe sull’ottovolante che conduce alla gloria.