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editoriali

Le ragioni del Presidente Gravina, l’unico preoccupato della tenuta del sistema

ROME, ITALY - FEBRUARY 24:  FIGC President Gabriele Gravina attends the press conference after the Italian Football Federation (FIGC) federal council meeting on February 24, 2020 in Rome, Italy.  (Photo by Paolo Bruno/Getty Images)

Il calcio italiano, le sue litigate e la sua ripresa

Redazione DDD

di Max Bambara -

Se c’è una cosa, negli ultimi mesi, che è mancata più di tutte nel modo di approcciare al tema della ripresa del campionato di calcio, è la tenuta del sistema in un momento di particolare crisi determinata dall’emergenza pandemica. Presidenti, dirigenti e addetti ai lavori, tutti sono stati pronti a dottorare (quand’anche a pontificare) sulla possibile non ripresa del campionato, dall’alto del proprio orticello da difendere o della propria rendita di posizione.

A tal proposito è stato molto opportuno l’intervento del Presidente della Federazione Gravina che ha descritto questa situazione con parole molto circostanziate ed estremamente precise: “Per me è stata una parentesi di grande tristezza, e lo farò presente, constatare che nel mondo del calcio alcuni facciano di tutto per non giocare, convinti che così non pagherebbero alcune mensilità ai propri tesserati. È un gioco perverso quello di una società che non vuole giocare per limitare i danni. Tutto questo mi ha convinto a portare avanti questa battaglia. So quanti italiani pensano che non si debba giocare: capisco che sarà triste vedere le partite a porte chiuse, ma se riparte l'economia del nostro Paese non può non ripartire una delle sue industrie più importanti”.

Crediamo tuttavia che sia necessario andare anche oltre il concetto di “limitare i danni”, in quanto ci sono stati molti presidenti che, dal non giocare, speravano di trarre vantaggi come la cristallizzazione della classifica ed il blocco delle retrocessioni che avrebbe permesso loro di portare avanti delle rendite di posizioni parziali (magari una promozione o una qualificazione europea), oppure di evitare di fare i conti con gli errori di programmazione dell’estate 2019 (con il blocco automatico delle retrocessioni che avrebbe loro evitato un epilogo non glorioso). Insomma, nel paese in cui tutti siamo tornati al lavoro con le dovute precauzioni, perché la ripartenza non poteva essere posticipata oltremodo, come poteva mai rimanere ferma una delle più importanti aziende d’Italia, che dà lavoro ad un numero altissimo di persone e che crea un indotto ancora maggiore?

Se viene compromessa in maniera irrimediabile la tenuta del sistema calcio, oltre che la credibilità dello stesso, anche la difesa partigiana del proprio orticello rischia di diventare la classica vittoria di Pirro. Evidentemente però, questo concetto è troppo difficile da comprendere (o da voler comprendere) per una schiera di dirigenti che guarda all’oggi senza pensare al domani o che, al limite, riesce a volgere lo sguardo al giorno prima. Troppo semplice dire di amare il calcio con i tifosi allo stadio, con gli striscioni, con le bandiere e con i cori. Non esiste un solo amante del calcio in tutto il mondo che preferisca giocare a porte chiuse (è il classico male necessario in un momento del genere). Pretendere però di pontificare sul calcio come se la componente economica non esistesse o, addirittura, non fosse preponderante dal punto di vista strutturale ed organizzativo, significa vivere in una campana di vetro, isolata dal resto del mondo.

E, in tale ottica, non porsi il problema di tutelare chi investe cifre importanti nel calcio, come chi spende soldi veri per i diritti televisivi del campionato, è un atteggiamento che ci colloca al confine fra l’incoscienza e l’irrealtà. Bene ha fatto dunque il Presidente Gravina a calibrare, in maniera mirata, certe dichiarazioni nella giornata di ieri: c’era bisogno di un intervento sopra le parti che fosse garbato nei toni, ma estremamente efficace nei contenuti.

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