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UNA RISSA SENZA SANTI

L’esercito della salvezza e del razzismo: benpensanti e moralisti, tutti contro Ibra

Perché trasformare Ibra nel carnefice e Lukaku nella vittima, in una vicenda nella quale non ci sono santi né diavoli, ma due giocatori dalla personalità importante e dal carattere fumantino che, per ragioni discutibili, hanno avuto una rissa...

Redazione DDD

di Max Bambara -

Circa quindici anni fa, nel lontano 2006, l’Italia vinceva il Mondiale di Germania in una indimenticabile finale contro la Francia; nel tripudio generale, Marco Materazzi veniva glorificato dai media come eroe nazionale perché, con la sua provocazione, aveva causato la reazione di Zidane che, con una testata, lo aveva colpito pesantemente. Fu forse la prima vera volta in assoluto in cui venne usato il supporto tecnologico (quello che oggi chiamiamo VAR) per indirizzare una decisione arbitrale dato che il direttore di gara di quella finale non aveva visto l’intemerato gesto di Zinedine Zidane. Per il francese fu rosso diretto e l’Italia poi vinse ai rigori, con rete decisiva di Fabio Grosso. Le cronache narrano di un Materazzi particolarmente provocatorio verso il numero dieci della nazionale transalpina, con una serie di riferimenti non particolarmente eleganti o educati nei confronti della di lui sorella. All’epoca il termine “provocazione” si poteva ancora usare, ma in molti preferirono parlare di furbizia, di colpo di genio, in pieno stile italico, da parte di Marco Materazzi. Tutto normale nel paese che ha dato i natali a Nicolò Macchiavelli.

Oggi il termine provocazione è antico e persino stantio. I neologismi inglesi hanno prevalso ed è pertanto più comodo parlare di trash-talking a proposito di certe discussioni di campo fra i protagonisti. Ed infatti, in occasione della furente lite verbale fra Ibrahimovic e Lukaku nel derby di Coppa Italia di tre giorni fa si è parlato abbondantemente di trash-talking fra i due giocatori simbolo del Milan e dell’Inter. La ricostruzione dell’episodio è nota alle cronache ed è quindi abbastanza inutile tornarci; non a caso, tutti gli ex giocatori intervistati (compresi gli allenatori del Milan e dell’Inter) hanno derubricato quell’episodio a situazioni di campo che possono capitare ma che nascono e muoiono lì. C’è stato però un approccio mediatico peloso e preconcetto in questa vicenda da parte di una certa stampa italiana che, a parole, si dichiara imparziale e fredda, ma nella pratica ha un cuore che batte e due colori da cui, legittimamente, si fa rappresentare. Nel calcio e nell’extra-calcio.

E così, nelle ore successive al derby di Coppa Italia, l’argomento di discussione non è stato più il valore del campo, i meriti dell’Inter, gli errori del Milan, le giocate e gli episodi. Nulla di tutto questo. Il tema unico sono state le presunte frasi razziste di Ibra a Lukaku. Certamente, è bene ribadire che entrambi i giocatori hanno ecceduto. Sono cose che possono avvenire in campo, ma onestà intellettuale impone di riconoscere come determinati atteggiamenti siano evitabili e soprattutto non arrechino alcun vantaggio alla squadra rappresentata. Detto ciò, di razzismo nelle parole di Ibra non vi è neanche l’ombra. Se proprio dovessimo fare un’analisi del contenuto del discorso, entrambi si insultano vicendevolmente, ma quello che minaccia è Lukaku che, preso dall’ira, profetizza la morte al colosso svedese. Nessuno comunque ha parlato di metodo mafioso utilizzato da Lukaku nei confronti di Ibra; non sarebbe stato d’altronde né corretto e né onesto, visto che le frasi del campo sono spesso condizionate dal nervosismo e dall’adrenalina del momento.

L’educazione, il senso civico, la cultura dei comportamenti e del rispetto verso gli altri, in un paese civile e moderno, sono questioni che competono alle famiglie ed alla scuola, non certamente ai professionisti dello sport che hanno tutti il diritto di avere il loro modo di stare al mondo senza dover dare spiegazioni ad alcuno. Orbene, portare al pubblico ludibrio oggi Zlatan Ibrahimovic per una rissa verbale nella quale ha usato qualche parola offensiva (ampiamente ricambiata da Lukaku), non è una forma di cultura da parte dell’universo mediatico del bon ton, né un dovere etico inderogabile; si tratta solo ed esclusivamente un insignificante ed ipocrita populismo moralista.

 

 

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