analisi Facebook di Roberto Beccantini -
UN PROFESSORE DI UMANITA'
Lo svedese di tutti
Lo ricordo, Sven-Goran Eriksson, nello spiazzo di un hotel che dava su Montecarlo. Era l’agosto del ‘99, vigilia di Lazio-Manchester United, finale di Supercoppa europea. Parlava della partita, e di calcio, con il tono dell’uomo di mondo (già allora) che non ha bisogno di fingersi scienziato. Ci spiegò tatticamente come sperava che andasse: non come sarebbe andata.
Vinse la sua Lazio, 1-0: gol di Marcelo Salas detto il Matador
Non starò a riassumervi le squadre che ha allenato, dal Degerfors alla Filippine, «via» Inghilterra, cosa ha vinto (18 trofei) e come: ci vorrebbe una pagina, non un trentello. Unica eccezione, lo scudetto della Lazio. Aveva 76 anni. Inviato della «Gazza», lo scoprii a Goteborg. Andata della finale di Coppa Uefa 1981-1982, 1-0 all’Amburgo (di Ernst Happel, non so se mi spiego) e poi 3-0, addirittura, al Volksparstadion. Se avrete la pazienza di recuperare i tabellini, troverete un tizio: Glenn Stromberg. Sì, lui. Quattro-quattro-due, pressing a rate, un calcio moderno perché semplice e semplice perché moderno, al passo con i tempi che incombevano e le risorse che gli giravano. Mai, e sottolineo mai, l’ho visto o sentito illuminarsi d’immenso o d’incenso. Giocava a zona da un bel pezzo di carriera, e sorrideva di gusto quando leggeva che il primo era stato Sacchi, no: Orrico, fidati: Zeman, e Galeone?
Svedese, non però dal grammelot «iocoso» di Liddas: con quell’aria da dongiovanni e quegli occhialini di colui che è sicuro che gli daranno del professore. Molti dei suoi allievi, dal Cholo Simeone a Roberto Mancini, sono diventati allenatori. Sapeva del tumore al pancreas, naturalmente, e con un messaggio ci ha dettato i tempi. Aveva un sogno: allenare il Liverpool. Anfield gli ha dedicato un memento indimenticabile. Si vive una volta sola, ma lui, quell’unica volta, l’ha davvero cavalcata a tutto campo, felice di essere stato quello che voleva essere.
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