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L’unico biscotto resta l’esame di Suarez: smacco matto Inter, Lukaku dall’autorete alla parata

MILAN, ITALY - DECEMBER 09: Stefan de Vrij of Inter Milan reacts at full-time after the UEFA Champions League Group B stage match between FC Internazionale and Shakhtar Donetsk at Stadio Giuseppe Meazza on December 09, 2020 in Milan, Italy. Sporting stadiums around Italy remain under strict restrictions due to the Coronavirus Pandemic as Government social distancing laws prohibit fans inside venues resulting in games being played behind closed doors. (Photo by Marco Luzzani/Getty Images)

Inter fuori falla Champions League

Redazione DDD

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

Esce da tutto, l’Inter di Conte, persino dall’Europa League. Lo 0-0 con lo Shakhtar incarna lo spirito del tempo. Per carità, la traversa di Lau-toro e le parate di Trubin, ma quando su sei partite ne vinci una, ritardi i cambi e regali a Eriksen i soliti spiccioli di riveriana memoria, hai poco da ribellarti al destino. Lo schema-Lukaku non ha funzionato, questa volta. Anzi: come nella finale di Europa League contro il Siviglia, quando fallì il 3-2 e firmò l’autorete del 2-3, una sua «parata», in fuorigioco, ha cancellato un possibile gol di Sanchez. Corsi e ricorsi.

(Photo by Marco Luzzani/Getty Images)

Uno smacco matto senza precedenti. Ha attaccato, l’Inter, per dovere, quasi mai per piacere, dettaglio che si avvertiva nell’aria e nell’area. I palleggiatori di Donetsk, brasiliani in cerca di una scrittura, si sono messi lì: e solo nella ripresa hanno alzato il capino e azzardato (con Taison, con Solomon) qualche balletto. La difesa a tre non ha aiutato Conte se non a proiettare campanili (con Bastoni). I blitz di Barella, le volate di Hakimi, il pennello sdrucito di Brozovic: piccole iniziative che mai hanno fatto una forza vera, una qualità alternativa alle emergenze, alle esigenze. L’Europa, per Conte, non è mai stata una fissa. La specialità rimane il campionato. Al quale potrà dedicarsi anima e corpo. E, a dodici milioni netti all’anno, guai se non lo vince. I bar sport e le edicole temevano che Real e Borussia, al chiuso della premiata pasticceria di Valdebebas, facessero un bel biscotto. Tutti attorno al forno, allora: doppietta di Benzema nel giro di mezz’ora, pali, fulmini, traverse, Real primo, tedeschi secondi. Le scommesse di un gol dell’Inter al 90’ o giù di lì crepitavano. Proprio per questo era diventata la «pazza» Inter. L’unico biscotto resta, per ora, l’esame perugino di Suarez. Coraggio.

Da San Siro ad Amsterdam. La Dea polveriera concede non più di una palla-gol ai bebé dell’Ajax, murata da Gollini, e li rosola agli sgoccioli, espulso Gravenberch, con la freschezza e la tecnica dell’ultimo arrivato, Muriel. Alla vigilia, era venuto fuori di tutto. Che nell’intervallo di Atalanta-Midtjylland, dopo il cambio, Gomez fosse venuto alle mani con Gasperini; che Ilicic avesse preso le difese del Papu; che il Gasp avesse rassegnato le dimissioni, respinte; che avesse giurato «o me o quei due». Mamma mia. Poi la partita. Un’Atalanta da «usque ad finem», concreta, concentrata, non brillante, più orco che fatina. Non certo gli ammutinati del Bounty. Morale: terza vittoria in trasferta. Secondi ottavi in due stagioni. Il seguito alle prossime puntate. Per adesso, direi che questo può bastare. O no?

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