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Maldini, Buffon, Ibra, una scelta difficile: smettere è da sempre la decisione più ardua per un fuoriclasse

ROME, ITALY - SEPTEMBER 01:  Paolo Maldini, Andrea Pirlo, Gianluigi Buffon and Andrey Shevchenko before Interreligious Match for Peace  at Olimpico Stadium on September 1, 2014 in Rome, Italy.  (Photo by Giuseppe Bellini/Getty Images)

Parallelo immaginario fra Maldini e Buffon: approccio diverso approccio con la parte finale di carriera (smettere da campione o accettare un ruolo di secondo piano pur di continuare). E' lo sfondo su cui si inseriscono i dubbi attuali di...

Redazione DDD

di Max Bambara -

C'è un filo comune, forse immaginario, che lega Paolo Maldini, Gigi Buffon e Zlatan Ibrahimovic. Parliamo di tre fuoriclasse che hanno segnato le loro epoche. Maldini infatti ha vinto negli anni 80, negli anni 90 e negli anni 00. Buffon lo ha fatto negli anni 90, negli anni 00 e negli anni 10. Ibra ha inciso soltanto su due decadi sportive (00 e 10), ma rappresenta ad oggi il giocatore più dominante della Serie A italiana, capace di vincere ininterrottamente il campionato nazionale per 7 anni su 8 con le tre squadre storiche della Serie A (consideriamo qui le classifiche nate sul campo e non quelle riscritte da Calciopoli, visto che parliamo esclusivamente di campo). Orbene, il momento più difficile della carriera dei grandissimi non è mai riconducibile ad un infortunio, ad una sconfitta o ad una finale persa in maniera beffarda: è legato invece ad una decisione da prendere, ossia quella di appendere le scarpe al chiodo e chiudere con una vita che ha regalato una dimensione dell’esistenza decisamente sopra le nuvole della realtà. La vita che verrà dopo potrà essere di sicuro agiata per ragioni economiche, ma difficilmente avrò lo stesso tenore di notorietà e lo stesso livello di privilegi. Il grande campione che termina la sua carriera, immediatamente dopo, è costretto a prendere atto che i privilegi del fuoriclasse, una volta abbandonato il rettangolo verde, non esistono più. Non si hanno diritti particolari e nessuno ti guarda con gli stessi occhi di prima. Se vuoi fare qualcosa nel mondo del calcio, quello che rimane comunque il tuo mondo, devi darti da fare, devi dimostrare di valere, di avere altre qualità che non siano quelle viste sul campo. La tua mente da fuoriclasse si rifiuta di accettare che possa esistere la competizione per un ruolo fuori dal campo con illustri sconosciuti di cui, sino a ieri, nemmeno conoscevi nome e volto; eppure, nei fatti, questo avviene. Dover fare i conti con questa particolare realtà, rende la decisione di smettere di giocare particolarmente complicata per un grande campione: non è facile ed a volte si preferisce rimandare, nella speranza che la forza della menta possa vincere la forza del tempo. Non può ovviamente essere così, altrimenti dovremmo creare una categoria superiore a quella dei fuoriclasse, ossia quella dei superuomini (particolarmente cara a D’Annunzio). Esiste un momento in cui è giusto smettere di giocare a calcio? Probabilmente si, ed è il momento che precede il crollo fisico. Un giocatore di alto livello inizia a percepire i primi scricchiolii del fisico intorno ai 30 anni.

Non a caso, un tempo, subito dopo quella soglia di età si finiva di giocare a calcio. Oggi, con il miglioramento dello stile di vita e delle tecniche di allenamento, i giocatori in media arrivano a giocare sino a 36-37 anni ad alti livelli. Il momento di smettere col calcio non era ancora arrivato per Paolo Maldini nell’estate del 2002: il capitano del Milan aveva 34 anni e in quelle settimane subì un vero e proprio assalto mediatico: la sua performance nel Mondiale nippo-coreano non era stata eccezionale ed il gol qualificazione della Corea celava qualche sua responsabilità. Maldini seppe rispondere in silenzio, inaugurando forse la parte di carriera più bella e divertente per lui, giocando 3 finali di Champions League ed alzando al cielo, da capitano, 2 di queste coppe. Maldini riuscì a giocare fino a 41 anni; stava così bene che in tanti nella primavera del 2009 gli chiedevano di continuare: lui non lo fece. Capì che la benzina stava per finire e, da fuoriclasse, non poteva accettare un ruolo da comprimario, utile solo per raccogliere qualche presenza in più. La sua ultima partita fu a Firenze e fu una gara vera, in cui il Milan si giocava l’accesso alla Champions League. Finì 2-0 per i rossoneri con una grande prestazione di Maldini. Buffon ha fatto ragionamenti diversi: nell’estate del 2018, quando la Juventus rese chiaro il fatto che non ci sarebbe stato alcun rinnovo contrattuale, prese la decisione di continuare a giocare andando nel Paris Saint German: non fu titolare fisso, perchè venne spesso alternato con Areola, ma il suo errore goffo contro il Manchester United (che costò la qualificazione ai quarti di finale ai francesi) è una sorta di sfregio al monumento che fu: gli costò, probabilmente, il secondo anno al PSG. Nonostante questo, per Buffon, l’idea di smettere col calcio è stata rimandata ancora, andando ad accettare un’offerta della Juventus per fare il dodicesimo: obiettivo dichiarato, superare il record di 647 presenze detenuto da Maldini e giocare quindi almeno 8 partite di campionato. Rispettabile come idea, ma poco in linea con la carriera di un fuoriclasse che non accetta di fare il vice di qualcuno, ma piuttosto smette. Buffon, pur di non smettere di giocare, ha accettato di essere un giocatore normale, uno dei tanti.

A chi dei due starà guardando oggi Zlatan Ibrahimovic? Probabilmente lo sapremo presto perchè è difficile pensare che il Milan rimanga troppo tempo dietro agli umori e alle indecisioni del giocatore svedese. Ibra va per i 39 anni, ha avuto un’operazione al legamento crociato del ginocchio poco meno di 3 anni fa e da due anni si è tolto dal grande calcio (quello europeo) per trovare un’altra dimensione nella Major League Soccer americana. Appare normale, forse anche legittimo, che il giocatore sia titubante: la Serie A è un’altra cosa rispetto ai ritmi del calcio a stelle e strisce e pensare di poter rovinare in qualche modo la propria immagine di giocatore vincente e dominante in Italia per 6 mesi di contratto può essere un dubbio dai contorni amletici. Ci sta quindi che Zlatan abbia preso tempo e che sia turbato da pensieri diversi e, magari, da qualche acciacco o dolorino che fino a 2-3 anni fa nemmeno sentiva. Scegliere di smettere con la passione di una vita non è semplice. Probabilmente è anche molto dolorosa come scelta. Forse però, se Ibra ha davvero tutti questi dubbi, dovrebbe seguire l’esempio del Maldini giocatore e non quello dell’ultimo Buffon.

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